Savalle jr, condanna per bancarotta

Il commercialista di Castelvetrano, fu socio del mafioso Sarino Cascio

Un arresto per la esecuzione di una condanna definitiva per bancarotta che fa tremare il mondo imprenditoriale di Castelvetrano. A finire in manette, per scontare una condanna a sei anni, è stato il commercialista Carmelo Savalle, 56 anni. Rotola una testa importante di quel meccanismo sospettato di scambi tra il mondo delle professioni e la Cosa nostra più vicina al boss Matteo Messina Denaro, ma che, a parte questo scenario, rimasto alla fine non confermato da sentenze, è risultato essere un buco nero che nel tempo ha inghiottito rilevanti fiumi di denaro pubblico. Anche se i sospetti di collusione con Cosa nostra tali sono rimasti e non vi è stato alcun pronunciamento a favore delle conclusioni alle quali erano giunte le indagini della Guardia di Finanza e dal Ros dei Carabinieri, è risultato ugualmente eclatante l’arresto compiuto dai Carabinieri di Trapani in esecuzione di una sentenza di condanna per bancarotta resa definitiva della Cassazione. Carmelo Savalle è un esponente di spicco della borghesia belicina, è fratello del più noto Giovanni Savalle, anche lui commercialista e fiscalista. I nomi dei fratelli Savalle sono legati ad un momento di espansione economica della provincia trapanese, la cui espressione più alta fu quella della realizzazione di un resort di lusso a Mazara del Vallo, “I Giardini di Costanza”, che appartenne per un periodo alla catena Kempinsky. Sui fratelli Savalle, ma anche sui loro ambiti familiari, si sono distese nel tempo le ombre dei sospetti di appartenenza alla cosiddetta area grigia di Cosa nostra. Ipotesi di accusa che portarono ad alcune indagini e sequestri: dapprima inchieste per truffa, per la cresta che sarebbe stata condotta su finanziamenti pubblici, poi giunse il sequestro di beni per un valore di 60 milioni di euro nell’ambito di una indagine antimafia, che però finì non confermato, con i giudici del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani che misero nero su bianco l’inesistenza di contatti tra il gruppo Savalle e la mafia. Questo nonostante Carmelo Savalle risultava essere stato socio di un conclamato imprenditore vicinissimo alla mafia, Sarino Cascio: i due possedevano la “Atlas Cementi”, mentre Giovanni Savalle veniva citato nei verbali di alcuni collaboratori di giustizia e in indagini sull’espansione del potere mafioso sino in Calabria e in rapporti con il palermitano Filippo Guttadauro, il cognato di Matteo Messina Denaro. Tutte ipotesi di collusione che però sono cadute, il Tribunale delle misure di prevenzione escluse anche per Giovanni Savalle l’ipotesi della pericolosità sociale, il decreto frattanto è diventato definitivo dopo che nemmeno la Procura di Palermo ha proposto appello. I fatti per i quali Carmelo Savalle è stato condannato risalgono al 2010, la prima pronuncia di colpevolezza giunse nel 2018, pronunciata dal gip del Tribunale di Palermo (processo svoltosi col rito abbreviato). Fallimenti ultra milionari di società e soldi spariti dalle casse e finiti nascosti da qualche altra parte. La condanna per bancarotta riguarderebbe il fallimento della Mediterranea spa, la società che diede vita al magnifico resort mazarese, e che avrebbe lasciato un buco di oltre 40 milioni di euro. Di questa società Carmelo Savalle fu dapprima vice presidente e poi amministratore delegato. La condanna tocca anche la società che gestiva uno studio commercialistico, “Studio Savalle”, con sede a Castelvetrano e del quale Eluccio Savalle era legale rappresentante. Studio commerciale dal quale nel tempo presero forma tutte le attività imprenditoriali del gruppo Savalle. I fratelli Savalle furono miracolati da una ricchezza improvvisa, commercianti che per lo più tra gli anni ’80 e ’90 si occupavano del commercio nell’ambito dei mercati rionali, di colpo la crescita imprenditoriale sino a raggiungere per una decennio l’apice del successo, poi il declino.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.