Borsellino, quando tutto finì

Una affermazione rimasta scolpita. Quella di Antonino Caponnetto ai microfoni Rai, fermato dal bravo collega Gianfranco D’Anna all’uscita della casa di Paolo Borsellino, la strage di via d’Amelio risaliva ad appena qualche ora prima. L’ex capo del pool antimafia dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo rispose al giornalista dicendo “è tutto finito…non mi faccia dire altro, è tutto finito”. L’indomani dinanzi al popolo palermitano sceso in piazza, a presidiare il Palazzo di Giustizia di Palermo, il giudice Caponnetto fece retromarcia, pensò e agì dicendo che non era vero quello che lui stesso aveva detto meno di 24 ore prima. Sono passati 31 anni da quel giorno, da quella strage, da quelle stragi del 1992, 30 ne stanno passando dalle bombe di Firenze, Roma e Milano, e viene da dire che il giudice Nino Caponnetto non aveva sbagliato e forse bisognava ammettere che tutto era finito con la strage di via d’Amelio, perché avremmo toccato il fondo e solo così ognuno , nei suoi ruoli, nel proprio lavoro, con i propri studi, forse poteva trovare la forza per rialzarsi e rimettersi in cammino. E’ vero, sono stati catturati i latitanti, sono stati svolti i processi, qualche politico è rimasto incastrato ed è finito in carcere, ma la verità è quella che a due grandi magistrati, Falcone e Borsellino, ad un gruppo di investigatori, penso per esempio al questore Rino Germanà, è stato impedito di combattere quella mafia che non era solo quella delle coppole e delle lupare.

Guardiamoci attorno, e scopriamo che tanti sono i lupi ancora in circolazione, che in certi Tribunali continuano ad esserci quei ventri molli che ogni giorno Falcone e Borsellino pubblicamente indicavano, c’era un “giuda”, ce lo ricordò Borsellino in quel suo ultimo intervento a Palermo sul finire di quel giugno del 1992, con l’andar del tempo ne abbiamo scoperti altri, tutti con lo stesso comune denominatore, sono riusciti a farla franca. Ci sono stati e ci sono per fortuna magistrati che ogni giorno combattono su questa trincea, ma c’è un potere legislativo, generato da una politica corrotta e corruttibile, che da decenni non passa giorno senza che tenti di mettere il bavaglio. Ed è questa una lotta che investe la magistratura e l’informazione, far sapere meno cose ai cittadini è l’obiettivo che tanti perseguono. Quel popolo che il 20 luglio 1992 si diede appuntamento davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo fece nascere un movimento antimafia, ancora c’è, non è morto, ma in questi 31 anni non è passato giorno senza che qualcuno non tentasse di sparlare dell’antimafia facendo finta di parlare contro la mafia. Oggi la mafia non spara più, si fa conoscere di più per un’altra sua qualità quella di saper votare bene. Non c’è bisogno di sparare e mettere le bombe, c’è un sistema, dentro il sistema istituzionale, che ha compreso come esistono altri mezzi per togliere di mezzo chi di quel sistema non vuol essere ne compare ne socio. Oggi vogliono togliere le intercettazioni e il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, come dire a un oncologo che i tumori si combattono con le radiografie e di raggi X nemmeno possono farne troppe. Serve un movimento che sappia riscoprire la voglia e l’impegno ad indignarsi. Abbiamo ascoltato “silenzi”, il “silenzio” talvolta fa più rumore delle parole, come è stato quando qualcuno qui in Sicilia è venuto a dire che ad inventare l’antimafia fu Berlusconi, cioè fondatore dell’antimafia chi teneva come stalliere nella sua villa un mafioso e chi fu sospettato di essere diventato imprenditore con i soldi delle mafie. Gli hanno fatto i funerali di Stato! Funerali di Stato negati ad altri, concessi a chi con Cosa nostra non era lontano nemmeno quei 100 passi che invece Peppino Impastato contava ad alta voce a Cinisi. In questi 31 anni tanti che potevano essere testimoni non ci sono più, qualcuno ancora in giro c’è, ma sono pochi che hanno scelto di non dir più nulla, o c’è chi ha cercato di auto celebrarsi. Se ci si guarda ancora attorno ci rendiamo conto che questa nostra Italia è piombata in quello scenario contro il quale combattevano Falcone e Borsellino. Con i vicini loro colleghi pronti a colpirli prima ancora della mafia. La bomba dell’Addaura, i veleni del corvo, l’azione delle menti raffinatissime. La storia dei professionisti dell’antimafia. Oggi siamo quasi al paradosso che questo nostro Paese è cresciuto non con democrazia e libertà, ma seguendo quel piano piduistico, quel piano che nel titolo aveva la rinascita democratica, e che dentro conteneva il libretto di istruzioni per trasformare i cittadini in sudditi. Qualcuno pensa oggi di ricondurci al feudalesimo, e magari oggi sarà a Palermo a ricordare e sfilare. Noi di Articolo 21 oggi trascorreremo la giornata come facciamo per ogni giorno dell’anno, festività comprese, a difendere la nostra Costituzione a ricordare che non saremo mai servi, ma servitori dei nostri concittadini.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.