I racconti di Nicola Quagliata.
Racconto breve ma non troppo. Il peccatore santo.
Seconda parte
MICHELE COLASANTI
Poteva sentire i suoi passi. Le vie del centro storico, strette tra i muri spessi di tufo giallo dei palazzi del mille e cinquecento e del mille e seicento, facevano da barriera acustica ed impedivano ai rumori ogni passaggio, ed al sole di penetrarvi. In certi punti vicino al suolo il tufo delle mura si sfarinava lasciando vere e proprie caverne nei possenti blocchi gialli.
Passeggiò per il corso, curiosando dentro le vetrine dei negozi di abiti alla moda costosissimi. Fece il conto che ogni capo di abito costava quanto il suo stipendio di uno o due mesi, – Sembrano gioielli, per quanto costano… – pensò, – …e certo ci sono quelli che li comprano, i ricchi ci sono, e sono ricchi quelli che i soldi li spendono e se li godono… –
Attraversò la porta scura e tornò indietro sulla Loggia e di nuovo per il corso Vittorio Emanuele.
Guardò l’orologio e si erano fatte quasi le dodici e trenta, affrettò il passo per arrivare in orario all’appuntamento che gli aveva dato il capo area.
In quel periodo il suo dirigente al comune era responsabile di due Aree amministrative, ognuna delle quali prevedeva un suo responsabile, l’Area 1, Pianificazione Urbanistica e territoriale con le attività produttive e l’Area2, Contrasto dell’abusivismo Edilizio e Sanatoria Edilizia. L’affidamento delle due aree amministrative ad un unico responsabile, l’architetto Dr. Alfio Manzella, “
-… In via temporaneamente eterna…- diceva il sindaco divertito, con sorriso felice, dalla dentatura bianca, completa di incisivi, canini, premolari e molari che amava mettere in mostra con il brillante all’anulare della mano destra che portava al mento a corredo della dentatura, “ un solo dirigente su due aree rendeva più efficiente ed efficace l’azione amministrativa, e con un solo responsabile si sapeva sempre a chi rivolgersi, senza disperdersi nei meandri delle responsabilità”. Il sindaco aveva studiato a Pisa laureandosi a pieni voti in Scienze delle comunicazioni. Tornato in paese con la prestigiosa laurea ed i capelli lunghi fin sopra le spalle e la barba pure lunga ed incolta, passata l’estate e finita la stagione del mare si tagliò barba e capelli, indossò giacca e cravatta e si mise in politica con successo divenendo sindaco.
Per prima cosa si era proceduto ad un minuzioso censimento di tutti gli abusivismi sul territorio comunale, dal quale risultava che il novantacinque per cento dei proprietari, a qualsiasi titolo, dei beni immobili, case e terreni, aveva commesso degli abusivismi.
Sulla scrivania del sindaco, ma senza il passaggio dal protocollo, – nella pubblica amministrazione esiste tutto ciò che passa dal protocollo e viene protocollato con data ed oggetto, ciò che non è protocollato non esiste, – era arrivato un elenco interminabile di famiglie su cui poteva agire la legge, la legalità, parola diventata assai di moda invocata anche dai latitanti, e ad ogni famiglia era arrivata una lettera con oggetto chiarimenti, “la Signoria Vostra è convocata per il giorno X alle ore X
presso questi uffici comunali per chiarimenti. Firma Il Dirigente di Area 2 Architetto Alfio Manzella”, Oggetto: Chiarimenti.
La data veniva apposta a penna.
In paese tutti quelli che avevano ricevuto la lettera di convocazione si erano guardati bene dal farne cenno con alcuno, come se parlarne avesse violato il principio del silenzio, ma soprattutto perché ognuno pensava di ricevere un trattamento di riguardo solo per sé.
Alle dodici e trenta, con la puntualità richiesta dall’orario di lavoro, Michele Colasanti si trovava in Corso Vittorio Emanuele davanti all’ingresso del ristorante Ai Ludi.
Da dentro al locale, un uomo in camicia bianca, seduto dietro ad un tavolo, gli faceva cenno con la mano di entrare. Abbagliato dalla luce del sole vedeva solo ombre, pur distinguendo a malapena la camicia bianca, e vedeva il braccio con la mano che lo chiamava a sé.
Entrò sostando qualche istante con la porta alle spalle, le pupille gli si dilatarono un po’ e vide il suo dirigente di Area, l’architetto Alfio Manzella, seduto già al tavolo che gli fece ancora cenno di sedersi.
Vieni Michele, accomodati, oggi ci facciamo una bella “manciata” di cuscus e pesce fresco dello Zingaro. Il cuscus come lo fanno qua non lo fanno da nessuna parte, … – e rivolgendosi al cameriere che intanto si era avvicinato al tavolo chiese conferma,
Non è vero?
Il cameriere ossequioso, con un sorriso di conferma aggiunse,
E’ vero, il nostro cuscus è fatto dalla mamma del proprietario, la signora Rosa, ogni giorno, con semola di grano siciliano ed olio extravergine di Castelvetrano, olio di sole olive Nocellara, e poi c’è la bontà del condimento, la zuppa di pesce sempre fresco di San Vito Lo Capo e dello Zingaro… prego, questo è il menù di oggi, e questo è il menù dei vini, vi consiglio i nostrani… ma abbiamo quello per voi- girò le spalle e si allontanò verso le cucine. –
Non fece in tempo a sedersi Michele che la porta si apri ed entrò un altro cliente che ebbe l’impressione di conoscere e che si diresse al loro tavolo.
L’architetto nel vedere la faccia confusa di Michele all’arrivo del nuovo commensale alla loro tavola lo rassicurò:
Michele non ti sbagli, è proprio lui, il senatore, siamo suoi ospiti… – glielo disse con tono divertito e rassicurante.
Il senatore appena arrivato porse la mano di saluto a lui e poi all’architetto che si era leggermente sollevato dalla sedia per porgere la mano e ricambiare il saluto accompagnato da due baci sulle guance.
Dal fondo della saletta un cameriere si affrettò ad accomodare la sedia al Senatore, a porgere gli omaggi ed aiutarlo a sfilare la giacca portandosela, per metterla su un accappatoio, intanto che l’eccellenza gli sorrideva.
Senatore, disse il cameriere, oggi abbiamo preparato per lei, dei piatti deliziosi del nostro mare e dei dolci della nostra ricotta fresca, il vino è quello riservato a voi, non di bottiglia ma di botte… –
L’architetto lieto accompagnava tutto con la sua descrizione:
L’Eccellenza è di casa qui, vero? – sentendo di doverlo chiamare Eccellenza e non semplicemente senatore per gli incarichi di governo che aveva ricevuto e svolto.
Michele lesse sul menù gli antipasti:
Bruschetta con velatura di aglio fresco e prezzemolo tritato
Affettato di uova di tonno con spruzzata di prezzemolo fresco tritato
Caponata siciliana con crostini al patè verde di olive di castelvetrano
Polpette di polpo e granchio
Lattume di tonno con prezzemolo fresco tritato spruzzato
Caponata di pesce spada.
Il primo piatto prevedeva il cuscus con cernia di Pantelleria e scorfano di San Vito.
Cassata siciliana con ricotta fresca delle pecore di Ummari, pistacchio di Bronte e marzapane di pasta di mandorle di Agrigento.
Al vino pensò il cameriere, che portò un barilotto di rovere di cinque litri, con rubinetto in frassino e tappo di sughero per lacorretta traspirazione del vino, precisò. Il cameriere stesso spillò il primo calice di vino che porse al senatore per l’assaggio, poi prese gli altri due calici che riempì e pose sul tavolo con grande enfasi a sottolineatura della bontà del vino.
Durante il lungo pranzo non fu affrontato l’oggetto della convocazione e dell’ordine di servizio che l’architetto aveva fatto a Michele Colasanti, e Michele non riusciva a vedere il nesso tra quella tavolata e la sua presenza a quel pranzo, che non era certamente il “pranzo di san Giuseppe” ed il suo non era l’invito al pranzo di “San Giuseppe”.
Michele Colasanti, un racconto a puntante. Parte prima