I racconti di Nicola Quagliata.
Racconto breve ma non troppo
Ancora prima della fine del pranzo Michele Colasanti cominciò ad avvertire una certa inquietudine, lui al tavolo con il senatore ed il suo dirigente che parlavano e disquisivano del più e del meno, del tempo e dei cambiamenti climatici, della pesca del tonno e delle tonnare, del turismo nel mese di agosto e dell’affollamento delle spiagge, tutte cose che a lui, Michele Colasanti, dipendente del comune di A. a mille e duecento euro al mese, non interessavano e non dovevano interessare. Assisteva alla discussione ed ogni tanto ammiccava con accondiscendenza, data da un lieve sorriso sulle labbra e dallo sguardo leggermente chino in avanti ed a scatti lenti.
Mangiò tutto, dagli antipasti al cuscus al pesce ed al dolce, bevve pure il passito di Pantelleria dopo il dolce ed anche questo spillato da un barilotto. Si sentiva con la testa pesante e confusamente si chiedeva ora come sarebbe proceduta la sua giornata. Ma non era tranquillo.
Il nuovo arrivato al tavolo di Ai Ludi
Nel pieno della sua inquietudine entrò un altro cliente che si diresse al loro tavolo e che il senatore ed il dirigente mostrarono subito di conoscere e addirittura che lo stessero aspettando.
Era un uomo alto ben vestito, con la camicia bianca, la cravatta e la giacca di seta grigio chiara, i capelli radi ben pettinati all’indietro, non un capello fuori posto, orologio d’oro al polso accompagnato da bracciale d’oro ed anello pure d’oro al dito medio, la bocca larga ed aperta da mostrare tutta la dentatura come se sorridesse a chiunque lo guardasse. Chiunque lo guardava pensava che stesse sorridendo a lui.
Per primo il senatore si alzò e gli andò incontro porgendogli la mano e tirandolo a sé per baciarlo sulle guance; la stessa cosa fece il suo dirigente, si alzò dal tavolo, gli porse la mano per il saluto e lo baciò sulle guance, quindi gli presentò Michele a cui strinse la mano in segno di saluto, ed a Michele Colasanti presentò l’amico Saracino, dottor Giovanni Saracino di C.d.M. medico e politico regionale.
Michele lo conosceva già, come politico, e lo aveva pure votato.
Di nuovo accorse il cameriere di prima per sistemare la sedia al nuovo arrivato e fargli le cerimonie di benvenuto dimostrandogli familiarità col sorriso:
Dottore carissimo, siete sempre il benvenuto, cosa posso servirvi?
Un caffè ristretto, caldo, amaro.
Vi porto lo zucchero a parte
Il cameriere se ne tornò dove era venuto ed aspettò che il dottore prendesse posto al tavolo per portare il caffè.
Il politico regionale medico condotto del proprio paese dottor Giovanni Saracino poggiò entrambe le mani sul tavolo rotondo tenendosele l’una con l’altra e guardò diritto Michele Colasanti che stava di fronte a lui :
Tu sei un mio elettore, lo so perché mi ricordo di te, sei stato presente ad ogni mia iniziativa elettorale nel tuo paese.
Giovanni Saracino ha una qualità presente in ogni politico di successo, la memoria, che gli permette di ricordare ogni persona ed elettore incontrato nella sua carriera politica, sia che gli abbia parlato sia che lo abbia soltanto visto tra la folla dei presenti, tanto che è giusto dire che della folla dei presenti il politico ricorda uno a uno ogni presente, se gli ha parlato allora ricorda nome, cognome, paese di origine e particolari eventi della sua vita, anche se sono trascorsi dieci e più anni dall’evento; il politico di razza non si disinteressa dei propri elettori e se assume un impegno per un favore, rispetta sempre quell’impegno individuale, ed il favore lo fa anche con chi non è suo elettore, con maggior riguardo.
A questi politici di razza appartiene il dottor Giovanni Saracino. Egli non ha un partito politico, ma può contare su una catena di uomini “ntisi”, nominati, in ogni paese ed in collegamento tra di loro su cui contare, non soltanto per i voti nelle campagne elettorali, ma anche per la loro influenza nella società, dalle istituzioni locali e regionali a quelle statali, nelle imprese, nelle associazioni imprenditoriali e religiose ed in quelle sportive, sono loro che rendono possibile la realizzazione di ogni favore, a loro si rivolge per i favori promessi ai suoi elettori.
Chi vota il tal politico raramente si rivolge a lui per il favore, si rivolge ai “nominati” del suo paese, o del paese vicino, per i quali ha dato il voto al tal politico. Capita che il tal politico che ha ricevuto il voto senza la mediazione dei nominati finisce in galera, cosa assai rara.
E’ vero dottore, rispose Michele Colasanti, vi ho sempre votato…
Non diamoci del vui o del lei, Michele, diamoci del tu…
Il tuo dirigente al comune ti ha convocato qua perché io ho bisogno di parlarti. –
Sono qua, disse ancora Michele Colasanti, sono a tua disposizione ….
Dobbiamo parlare a quattr’occhi, perciò adesso il senatore e l’architetto ci lasciano.
Il senatore interloquì dicendo che lui aveva un impegno e doveva lasciarli, che era felice della compagnia e si augurava di rivedersi al più presto con Michele.
Anche l’architetto salutò, e con il senatore ed il cameriere parlottavano mentre si dirigevano verso la porta.
Sulla soglia il cameriere fece mille inchini e mille sorrisi, aiutò ad indossare la giacca, aprì e chiuse la porta alla loro definitiva uscita dalla sala, capì che il dottore voleva restare solo con il suo interlocutore e nel passare per la sala fece solamente un lieve inchino ed un cenno di sorriso che diceva vi lascio soli e se ne andò diritto nella cucina.
Il dottore prese ancora la parola, ed era quello che Michele aspettava.
Michele …. E si fermò pensieroso aggrottando le sopra ciglia e la fronte a sottolineare la serietà e la gravità delle cose che aveva da dire…. Michele, ho voluto io questo incontro con te…e faceva delle pause, e la sala si riempiva di silenzio senza più neppure il tintinnare di posate proveniente dalla cucina, segno che in cucina si erano tutti fermati per non disturbare, nella consapevolezza della importanza di quanto stava per avvenire; quell’incontro veniva considerato un avvenimento.
Già, perché in Sicilia tutti sanno sempre tutto di tutti, non c’è terra o isola come questa dove i segreti sono a tutti noti e tutti li trattengono e li portano come pietre chiusi nel petto; i segreti della Sicilia non sanno nuotare e non si allontanano dalla terra ferma, quando devono essere svelati al mondo, con cura vengono svelati, perché già altri segreti hanno preso il loro posto, con il loro carico di pena, quelli di prima erano d’impaccio. I segreti in Sicilia si rinnovano, a differenza dei misteri religiosi che sono sempre quelli, la nascita, la crocifissione e la resurrezione, qui i segreti seguono le moderne piste del denaro a cui rimangono attaccati fin dentro i più remoti caveau delle nazioni.
-… ho voluto questo incontro perché ho un incarico molto importante da affidarti, un incarico che cambierà la tua vita per sempre, e non solo la tua vita…. –
Ti ascolto… puoi contare su di me…-
Michele aveva ben compreso la provenienza dell’incarico e aveva capito che il dottore davanti a lui era un ambasciatore, un portavoce, per quanto prestigioso, e capì che davvero la sua vita stava cambiando; si sentiva dentro una metamorfosi, dopo quell’incontro sarebbe stato un altro, e si chiedeva fino a che punto, e quale era la natura dell’incarico? Capì che non doveva fare domande, doveva aspettare, ragionò come gli uomini d’onore per i quali “i picciriddi fanno domande non gli uomini”, gli uomini non fanno domande ed agiscono quando c’è da agire.
Michele Colasanti non faceva domande e Saracino ne era sodisfatto, e continuò:
– … ma che sia stato io, ed io soltanto, a volere questo incontro non è poi del tutto esatto, ed avrai pure notato che uso la parola incontro… –
Miche Colasanti ad ogni parola pronunciata da Saracino capiva sempre di più chi aveva davanti, ma restò nel dubbio alla sottolineatura fatta della parola incontro, non essendo certamente lui della stessa rilevanza del Saracino, che era non solo medico curante in paese ma ntisu come reggente e capo cosca.
Con quella chiamata Michele Colasanti avvertiva una nuova svolta nella sua vita.
La prima svolta c’era stata tanti anni prima, quando ancora era giovane e per campare nella vita doveva lavorare nei cantieri edili, lavoro pesante tra la polvere del cemento che gli toglieva il respiro e che impastato col sudore gli si appiccicava sulla pelle e gli entrava nelle carni, il lavoro nella terra non lo considerava proprio per lui; guardava al futuro con rabbia.
Un giorno gli dissero,
domani vieni con noi, ti veniamo a prendere per un lavoro pulito, di nessuna importanza, non c’è da sporcarsi, vedrai che ti cambierà la vita. Sempre a impastare cemento vuoi restare? Non ti vuoi sistemare?
Allora passò la nottata sveglio, agitato, ed a chiedersi cosa lo portavano a fare, mentre consumava l’ultima sigaretta di Nazionale senza filtro che aveva nel pacchetto e sua madre lo implorava di smettere di fumare perché la stanza era piena di fumo e lui rispondeva irritato, quasi inferocito.
Passò tutta la notte col pensiero di cosa doveva fare l’indomani.
Si addormentò a sonno pieno nelle mattinate. A svegliarlo ci pensò Mommo, che la madre fece entrare sollevata al pensiero che un amico andava a svegliare il figlio e non lei.
Mommo scosse il letto:
arruspigghiati chi ghiornu è, fa prestu chi tardu si fici, don Filippo a nuatri aspetta – .
A sentire il nome di don Filippo Miche saltò il mezzo al letto e guardò meravigliato Mommo.
Stutravagghiu l’amu a fari pi don Filippo, iddruaddumannaustufavuri, e ti voli pruvari. A lavoro finito dobbiamo presentarci a lui, perciò spirugghiati.
Chi travagghiu è?
Vestiti e amuninni, a tempu so’ lo saprai, tuttuprontu è.
Ad aspettare fuori, in macchina, al posto del guidatore, su una 126 Fiat color verde, c’era Andrea che fumava forte ed aveva riempito di fumo l’abitacolo dell’auto, sembrava una nebbia fitta.
Mommo, aperto lo sportello, abbassò il seggiolino in avanti dal lato passeggeri, e fece salire Michele Colasanti dietro, quindi entrò pure lui in auto.
Andrea mentre accendeva il motore con la levetta vicina al cambio:
E’un lavoro pulito, per mezzogiorno siamo a pranzo. –
L’auto partì e fecero la strada che dovevano fare, e quando furono in mezzo alla campagna, lungo una trazzera bianca di pietrisco, tra terreni a seminativo e terreni gerbidi, ad un certo punto Andrea rallentò, frenò per fermare l’auto e spense il motore.
Mimmo si abbassò in avanti e tirò un sacchetto di iuta da sotto al suo seggiolino, dal sacchetto tirò fuori una pistola e la mostrò a Michele Colasanti.
Michè questa è una P38, tu la conosci perché lo so che hai già sparato nelle cave, e la sai usare, è carica, tieni. Lo vedi laggiù quell’uomo? E’ un curnutu, tu ci vai vicino e gli spari, l’ultimo colpo glielo spari in testa così siamo sicuri chi mori.