Un’ operazione dei carabinieri di Milano e Varese ha portato alla esecuzione di undici ordinanze di custodia in carcere, al sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro e alla notifica dell’avviso di conclusione indagini nei confronti di 153 indagati.
Si tratta di un’indagine coordinata dalla Dda che riguarda un contesto criminale attivo prevalentemente nel territorio lombardo, formato da persone legate alle organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.
Per il gip, però, non vi è un “patto” tra le tre mafie in Lombardia, contestato nella nuova inchiesta della Dda milanese, smontata, invece, dal gip di Milano Tommaso Perna che ha respinto oltre 140 richieste di arresti per altrettanti indagati.
Il giudice, infatti, ha disposto il carcere solo per undici persone, ma non per associazione mafiosa e solo per altri reati.
La Dda, ha deciso, comunque, di chiudere le indagini, contestando sempre “l’alleanza” tra le tre mafie e di fare ricorso al Riesame per le richieste di custodia cautelare respinte. Sono state effettuate 60 perquisizioni con l’impiego di oltre 600 carabinieri sull’intero territorio nazionale.
Si tratta, nella definizione degli inquirenti, del cosiddetto “sistema mafioso lombardo” che “gestisce risorse finanziare, relazionali ed operative, attraverso un vincolo stabile tra loro caratterizzato dalla gestione ed ottimizzazione dei rilevanti profitti derivanti da sofisticate operazioni finanziarie realizzate mettendo in comune società, capitali e liquidità”. C’è anche la mafia trapanese nell’operazione «Idra». Tra gli oltre 150 indagati nell’inchiesta della Dda di Milano sul «sistema mafioso lombardo» figura anche Paolo Aurelio Errante Parrino, 76 anni, cugino per parte di madre di Matteo Messina Denaro, che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il «punto di raccordo» tra il «sistema mafioso» in Lombardia, «ossia il presunto accordo tra le tre mafie, Cosa nostra, ‘ndragheta e camorra», e Matteo Messina Denaro, morto lo scorso settembre. Errante Parrino per gli inquirenti avrebbe trasferito al boss «comunicazioni relative ad argomenti esiziali» mentre era latitante. Lo si legge nell’ordinanza del gip di Milano, Tommaso Perna che, però, ha respinto oltre 140 richieste d’arresto, tra cui quella di Parrino. Errante Parrino vive da anni ad Abbiategrasso, sulle sponde del Naviglio Grande. C’è arrivato con il confino, il soggiorno obbligato riservato ai mafiosi. Poi non s’è più mosso. Qui, la sua famiglia per anni ha gestito il pub «Las Vegas» di via Legnano 57. Il locale è stato intestato alla moglie Antonina Bosco, 73 anni, anche lei originaria di Castelvetrano. Ora c’è la figlia. Per la Dda, Parrino avrebbe anche mantenuto e «curato i rapporti con la famiglia dell’ex latitante, vertice di Cosa Nostra», occupandosi di «qualsiasi necessità del nucleo familiare da soddisfare in Nord Italia, compreso un adeguato supporto logistico in caso di bisogno». E gli investigatori seguendo proprio il gruppo milanese sarebbero arrivati – prima della cattura – molto vicini al covo del boss a Campobello di Mazara. Inoltre ha seguito la vicenda della morte di Gaspare Allegra, nipote di Messina Denaro deceduto nel 2021 in un incidente sulle montagne lecchesi. Messina Denaro al momento dell’arresto aveva nel portafoglio proprio la foto del nipote morto. Nell’inchiesta «Idra» il pm Alessandra Cerreti aveva chiesto l’arresto di Errante Parrino, arresto però negato dal giudice Tommaso Perna. Per il gip deve ritenersi «un fatto ormai non più contestabile» che Paolo Aurelio Errante Parrino, tra gli oltre 150 indagati dell’inchiesta della Dda di Milano «abbia fatto parte dell’associazione di stampo mafioso, ed in particolare del mandamento di Castelvetrano», dato dal boss Matteo Messina Denaro, ma «non vi sono elementi, se non di tipo suggestivo», per affermare che il 76enne «abbia continuato a far parte del sodalizio anche in epoca successi va». È uno dei passaggi dell’ordinanza di oltre duemila pagine. Insomma per il gip i precedenti di Errante sono troppo datati e non ci sarebbe prova di una sua appartenenza attuale a cosa nostra. All’indagato «non risulta contestato alcun reato-fine tra quelli ascritti agli altri componenti dell’associazione» descritta nell’inchiesta sul presunto patto tra mafie in Lombardia.