Omne initium grave – Don Vito e l’onorevole

I racconti di Nicola Quagliata

Don Vito e l’onorevole

Tra Passo Sataro, Ciauli, Tregiummare, salendo per Sarmuci fino a Visicari, da dove in certi punti tra gli ulivi e gli olivastri si scorge il mare fino all’orizzonte, ed in lontananza i faraglioni tra bagli, mannare (ovili) belanti, e macaseni c’era sempre tempo per vedersi e incontrarsi con gli amici, e l’Onorevole era sempre il benvenuto ed ospite gradito, seppure per un breve saluto agli amici perché andava sempre di fretta tra Palermo e Roma, e gli impegni di partito in tutte le provincie della Sicilia.

Ora con don V.B. dovevano incontrarsi in paese ed in privato sebbene l’incontro non dovesse avere carattere privato ovvero era un incontro privato tra le due personalità ma non riservato, nessun altro doveva essere presente nella stanza, ma tutto il paese doveva sapere che Don V.B. e l’Onorevole avevano tenuto un incontro nella sede del partito, l’oggetto dell’incontro lo si doveva immaginare, e tutti in paese lo immaginavano.

Quel giorno don V.B. si era fermato a pranzo a casa dei suoceri, sul canalone.

Una casa con vista sul golfo, con le finestre e le balconate esposte a mezzogiorno, ed il sole era entrato nella sala da pranzo. Il mare che la notte prima, spinto dal maestrale ed agitato da spiriti inquieti, sembrava volesse divorare la terra, trascinare nei suoi abissi le montagne ed ogni pietra del paese, ora era uno specchio, ed aveva ripreso i suoi colori, e carezzava, mansueto, lo sguardo, specchiando anche quella montagna martoriata dal fuoco e che che scendeva tignosa nel mare dove invece dava vita a un caleidoscopio trasparente di colori, di guizzi azzurri e giocose sardine.

Avevano pranzato con i balconi spalancati, e col sole sulla tavola. Gli odori di cucinato si mescolavano a quelli delle alghe marine che i marosi avevano sradicato, dell’alloro con le fave, dei maccheroni busiati freschi, e dell’odore intenso della salsa secca di pomodoro steso al sole ad asciugare in agosto, e del pane sfornato da poco ed ancora caldo nella cucina a fianco.

Durante il pranzo erano rimasti tutti in silenzio, le uniche parole scambiate riguardavano quelle strettamente legate alle pietanze, alle fave che stavano piantando su altre terre in campagna, ai pomodori che pure stavano piantando, agli ulivi che stavano potando, ed alle pecore che bisognava cambiare con delle razze del nord che raddoppiavano il latte, la lana e la carne, perchè la pinzirita aveva fatto il suo tempo.  I pecorai già sapevano quello che dovevano fare.  Le pecore che si storpiavano non ci perdevano tempo a curarle, le scannavano e le mangiavano sostituendole con le Frisone e le Brune. Si erano scambiati   parole secche, asciutte,  a cui ciascuno sapeva di non dover dare seguito per non cadere in quelle sbagliate che riguardavano gli avvenimenti in atto e lurivugghiu del cimitero.

Erano all’ultimo atto delle vicende di sangue che avevano investito  gli amici e la famiglia. Nessuno d’altronde aveva parole da dedicare ad altro, da un anno, quando si parlava, si misuravano le parole e le parole servivano alla conta dei morti e alla ricostruzione degli agguati e delle sparatorie. Da un anno i morti ammazzati avevano superato quelli del tifo e della malaria dell’immediato dopoguerra.

 Come allora col tifo le chiese avevano smesso di suonare le campane ad ogni morto rinvenuto o a gruppi di cadaveri rinvenuti al mattino, un po’ perché le morti erano diventate ordinarie un po’ perché spesso non si riusciva a identificare i cadaveri, appartenuti anche a forestieri che gli stessi carabinieri non distinguevano e non erano in grado di  dare  nome, sbandati della banda Giuliano o del famigerato esercito dell’EVIS, l’esercito del movimento indipendentista siciliano andato in frantumi col Movimento Indipendentista stesso dopo l’approvazione dello statuto siciliano del 1946.

Erano all’ultimo atto della guerra di mafia, una guerra tra famiglie mafiose per il controllo del territorio che aveva portato decine di morti, l’ultimo caduto a Salemi giorni prima e portato da un camionista locale al cimitero di Castelvedere,  e ora donV.B.  con gli amici avevano deciso il finale della tragedia, e per quel finale ora doveva parlare con l’Onorevole.

Alla fine del pranzo non rimase a prendere il caffè, si avviò verso il bar Messina dove era solito trascorrere il pomeriggio quando era in paese e non era al confino. Si sedeva ad un tavolo da dove vedeva ampiamente la strada e dove potevano venire a salutarlo e ad omaggiarlo; quando era in paese a quel tavolo non sedeva nessuno, era il tavolo di don V.B..Da tempo ormai in segno di rispetto e di sottomissione quanti si rivolgevano a lui, anche solo per un saluto, ritenevano un privilegio baciargli la mano, a parte i viddani comunisti, lui accettava quel segno di rispetto  purché senza troppa enfasi e vanteria, non sopportava la piaggeria più dei comunisti che lo guardavano dall’alto in basso fin dai tempi del confino.

Ordinò il caffè al barista e fece un segno a Giacomino, il proprietario, che nessuno lo disturbasse. I due picciotti che lo seguivano si mantennero distanti e lui ne chiamò uno, quello che sapeva leggere, al tavolo per la lettura del giornale. Non voleva pensare, ed ogni qualvolta che gli capitava di avere troppi pensieri ad affollargli la mente lui si faceva leggere il giornale, le notizie brevi e le più curiose, ascoltava in silenzio senza commentare neppure con un breve cenno del viso. Così non pensava.  Di Quando predisponeva qualcosa non ci tornava col pensiero, aspettava che gli eventi si dispiegassero per intervenirvi se richiedevano delle correzioni, i fatti gli davano la certezza e la sicurezza di un atto notarile. Ora si richiedeva un intervento dell’Onorevole, per mettere al riparo la conclusione dei sanguinosi scontri degli ultimi tempi. La sezione del partito era nel palazzo di due piani a fianco al bar, al primo piano, e l’Onorevole solo in occasioni di iniziative pubbliche si intratteneva al bar, per salutare gli amici e prendere con loro un caffè, se no tirava diritto e saliva direttamente per andare alla sezione politica. Don V.B. aspettò che l’Onorevole entrasse nel portoncino, aspettò che salisse le scale e prendesse accomodamento nei locali della sezione, aspettò ancora qualche minuto ed infine si alzò avviandosi all’uscita del bar ed al portoncino dove era stato preceduto dall’amico onorevole.

Mentre saliva incontrò Tano, che si fermò sulle scale :

– Don V., l’Onorevole è arrivato e vi aspetta.

Tano davanti a don V.B. si muoveva come un sacrestano intorno al prete durante la messa.

Frettolosamente riprese la discesa delle scale per scomparire fuori dal portoncino, Tano era un tuttofare tra la sede del partito e i vari circoli di notabili del paese; apriva e chiudeva i locali, faceva le pulizie, e faceva da spola con il bar per i caffè e le bevande che venivano richieste, comprava i giornali quotidianamente. E sapeva Tano quando doveva sparire.

Sul pianerottolo si avvertì l’odore del fumo provenire dai locali del partito, la porta era aperta e anche se dentro non c’era nessuno oltre l’Onorevole, le mura impregnate del fumo di sigaretta e da quello delle lampade a petrolio, spesso accese per la precarietà della corrente elettrica nei mesi di temporali – un tuono o un lampo o una ventata bastavano a interrompere l’energia elettrica – spargevano il proprio tanfo fino alle scale, tanto più nei mesi invernali che le imposte si tenevano ben chiuse per impedire al freddo di entrare. Nelle sedi dei partiti non solo si fumavano sigarette e tabacchi scadenti e puzzolenti come le Alfa, le Sax ed il tabacco trinciato, si fumavano anche le sigarette arrotolate col trinciato dei mozziconi, un tabacco già impregnato di fumo, mischiato alla cenere del troncone della sigaretta spenta.

Don vito entrò e si diresse nella stanza di fronte al corridoio. L’onorevole si fece trovare al centro della stanza e quando don V.B. varcò la soglia lo attese per salutarlo:

Vito, la politica non si fa attendere e non si fa pregare.

L’’onorevole si conosceva da tempo con don V.B., non solo perché erano coetanei.

 Nonostante l’Onorevole fosse di origini umili rispetto alla famiglia di don V.B.  da sempre grandi proprietari, aveva conquistato la posizione sociale e di rispetto  per cui poteva dargli del tu e trattarlo confidenzialmente; don V.B. aveva un sacro rispetto per gli uomini di studio e l’onorevole oltre allo studio, – aveva frequentato l’Università di Palermo e si era laureato con ottimi voti in giurisprudenza e poi sempre in Palermo vi aveva svolto la professione  di avvocato , anche al servizio degli amici, fino alla affermazione politica –   aveva saputo affermarsi, con l’ausilio della chiesa e delle associazioni cattoliche, in politicapolitica, e don V.B. sapeva anche questo, che la chiesa ed il potere politico andavano tenuti in grande considerazione, e temuti se necessario, il potere politico e la chiesa erano come il mare, non li si conosceva mai abbastanza e non dovevi mai starci tranquillo, non sapevi mai cosa aspettarti. Ma soprattutto la politica aveva vinto laguerra, e don Vito aveva visto il potente esercito americano, che in un primo momento aveva ricercato l’alleanza militare con gli amici della mafia, fare poi un passo indietro davanti all’emergere della politica, fino alla completa ritirata.

Lungo il corridoio don Vito aveva incontrato i manifesti alle pareti che per lui erano il segno del potere organizzativo proprio della politica, dietro ad ogni manifesto c’era una elaborazione complessa non diversa da quella dei dipinti in chiesa, ma a differenza dei dipinti che trovava nei racconti dei vangeli o della bibbia  i soggetti da rappresentare, il manifesto politico doveva esprimere ogni volta  una idea nuova e comunicarla per un solo evento ed  una unica apparizione sulle mura delle città; un manifesto non ripeteva lo stesso concetto, tranne quelli del simbolo del partito, e quando succedeva che diversi soggetti, in diversi manifesti, esprimessero la stessa idea, era in atto una campagna di propaganda martellante come le cannonate in una trincea di guerra.

L’Onorevole andò a sedersi dietro la scrivania e fece segno a V.B. di accomodarsi una delle due sedie che stavano davanti davanti la scrivania.

V.B..

– Per prima cosa ti devo dire che di tutto quello che è successo fino ad ora

in paese non voglio sapere niente, è tutta materia della autorità giudiziaria e non voglio sminuirne le competenze, il potere giudiziario negli stati democratici moderni è autonomo e tale io lo rispetto. Ma devo dire che continuando con queste tragedie e questi lutti si porta molto discredito alla

nostra terra, i miei colleghi in parlamento ed al governo già mettono ostacoli per non farci arrivare finanziamenti e deviano gli investimenti  in altre regioni del sud, perciò sarebbe bene mettere la parola fine alle beghe.

–       Siamo alla fine onorevole, puoi contarci, ma tu sai che alla fine dobbiamo arrivarci con le nostre regole, se no abbiamo perso tempo ed anche vite innocenti. Il morto al cimitero, perché per parlare di questo siamo qui, è il sigillo alla chiusura di tutte le tragedie che tu dici, è il sigillo alla tragedia, ma questo sigillo tutti lo devono vedere e la sua esposizione, che sembra tanto disturbare il Prefetto, è necessaria e direi anche richiesta dalla popolazione, ognuno in paese vuole vedere coi suoi propri occhi che è finita e si rincuora e può già parlarne come storia del passato e ognuno raccontare la propria versione come di un mito, ma la esposizione deve esserci.

Onorevole: esibizionismo, solo esibizionismo, e mi fa meraviglia perché si tratta di uno sproposito, di una esagerazione …

V.B. : mi permetto di ripetere che non si tratta di esibizionismo né di spropositi, si tratta di mettere la parola fine in modo chiaro… nel nostro paese non si dovranno più verificare questi lutti, il nostro paese ora deve splendere, e tu ne porterai la bandiera in tutta Italia, sarai più che ministro, io ti proporrei come Presidente, Presidente della Repubblica… altri due giorni di esposizione e tutto finisce. Onorevole, sono pronto al provvedimento di confino, dillo al Prefetto. Ma stavolta non nelle isole, e nemmeno al nord, sono pronto per la Puglia, vado con tutta la famiglia, i miei figli cresceranno fuori dalla Sicilia.

Fine

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