Tanti lo cercavano, lui, il boss Messina Denaro, nel frattempo entrava in una banca di Palermo per fare una operazione alla cassa, per trasformare denaro contante in assegno circolare.
Era il 2014. Dalle sue mani e quelle del cassiere passavano così 9 mila euro, (4 banconote da 200 euro, 45 da 100, 64 da 50, 24 da 20 e 2 da 10), l’esatto importo dell’assegno circolare che di lì a poco avrebbe ottenuto e che lui, sempre il capo mafia all’epoca super latitante, avrebbe usato per acquistare una Fiat 500 L.
Un’operazione fatta a nome di Massimo Gentile, professione architetto, così è pure scritto sulla carta d’identità la cui copia è allegata all’operazione bancaria, e dove ovviamente la foto non è quella del vero intestatario, ma quella del boss di Castelvetrano. I Carabinieri del Ros hanno trovato anche un altro allegato, la dichiarazione con la quale il finto Massimo Gentile dichiarava di essere commerciante di abbigliamento. Un’operazione che secondo norma doveva essere segnalata al circuito dell’antiriciclaggio e finire alla banca dati “SOS” della Direzione Nazionale Antimafia ma, a leggere l’ordinanza del gip Montalto, di questa segnalazione non è stata trovata traccia, almeno il provvedimento cautelare contro Gentile non ne fa menzione.
Sarebbe interessante sapere se fu fatta dalla banca o la cosa rimase celata. In banca quell’operazione, fatta da un soggetto nemmeno residente a Palermo, estraneo tra i clienti, avrebbe dovuto far sorgere qualche sospetto: un soggetto che nella carta d’identità dichiara la professione di architetto e che però al cassiere dichiara che invece di praticare studi tecnici, vendeva abiti e per questo veniva pagato in contanti. Nemmeno banconote importanti, di grande valore, banconote di piccolo taglio per lo più. Probabilmente se il nome fosse passato dalla banca dati delle segnalazioni sarebbe risultato che il vero Massimo Gentile lavorava da pubblico dipendente a Limbiate e già da molti anni, con incarico quasi dirigenziale. Quindi la latitanza di Matteo Messina Denaro poteva finire già nove anni prima del suo arresto, da moribondo. E invece il boss poteva permettersi di andare in giro per le città siciliane indisturbato. Con una fiammante moto, una Bmw, con la quale si portava appresso la fidanzata di turno.
C’è infatti un’altra donna nella vita del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Il racconto fatto dalla donna ai Ros dei Carabinieri ha confermato ancora una volta come la latitanza del capo mafia trapanese sia trascorsa stando tranquillamente in mezzo alla gente, da Campobello di Mazara a Palermo e in giro per l’Italia. Circostanze che nel corso delle indagini erano già emerse, quando per esempio a fine anni ’90 si scoprì dei viaggi del boss in Sud America e a Miami. Ovviamente sempre con documenti veri, sui quali era stampata la sua foto ma con altre identità. L’ultima scoperta quella di Massimo Gentile. Alla donna i Carabinieri sono risaliti attraverso il cellulare che il capo mafia ha utilizzato nel corso del suo ricovero all’ospedale di Mazara per il primo intervento chirurgico dopo la scoperta del tumore al colon.
Il boss e la donna andavano in giro solitamente a bordo di una moto Bmw F650. Il capo mafia trapanese l’aveva comprata nel 2004 grazie all’identità prestatagli dall’architetto Massimo Gentile, finito in carcere oggi. La conoscenza con la donna risale al 2014.
Gli arresti di ieri sono la conseguenza dello “studio” dei pizzini trovati nel covo campobellese del boss. Colletti bianchi gli arrestati, due sono cognati tra loro, Massimo Gentile, 31 anni e Cosimo Leone di 56, accusa per loro di associazione mafiosa, poi c’è Leonardo Gulotta, 31 anni, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Gli accertamenti bancari hanno fatto scoprire anche un’altra identità usata dal Messina Denaro. Quella per l’appunto di Massimo Gentile, architetto (sospeso dall’ordine), funzionario nel Municipio di Limbiate dove si occupava di Pnrr, imparentato con il killer ergastolano Salvatore Gentile e quindi con la moglie e la figlia di questi, Laura Bonafede e Martina Gentile. Anche loro travolte dalle indagini. Inchiesta che conferma ancora una volta come a “custodire” e proteggere il capo mafia durante la sua latitanza, erano soggetti del circuito familiare, dai Messina Denaro. Sorelle, nipoti, ai Bonafede e quindi per continuare con i Gentile e i Lanceri.