La sua barba segno della sua determinazione nel cercare verità e giustizia
Una barba lunga come lunga è stata la sofferenza di Vincenzo: 35 anni di lutto per un figlio ammazzato dalla mafia. Era il suo tratto distintivo, che ce lo faceva riconoscere in mezzo alla folla nelle manifestazioni e negli incontri pubblici. Lo vedevi da lontano, con la barba bianca quasi da personaggio delle fiabe, e un’espressione che sapeva trasmettere insieme tenerezza e ardore. Quella barba la vogliamo oggi ricordare come il segno della costanza di Vincenzo, della sua determinazione nel cercare verità e giustizia per suo figlio, sua nuora e il loro bambino mai nato.
Era il 5 agosto del 1989 quando Nino Agostino, sua moglie Ida Castelluccio e il piccolo o piccola che portava in grembo caddero vittime di un agguato mafioso. Subito ci fu chi provò a inquinare le acque e gettare fango sulla figura di Nino, un agente di Polizia in servizio a Palermo, coinvolto in delicate operazioni contro cosa nostra. Per Vincenzo, la moglie Augusta, le sorelle e il fratello fu un dolore che si aggiungeva al dolore: ignorare il motivo dell’omicidio, e temere che l’impegno per trovare i colpevoli venisse vanificato dall’omertà e dai depistaggi, anche all’interno di quelle stesse istituzioni che Nino aveva servito con coraggio.
Nella disperazione, maturò la volontà condivisa e incrollabile di esigere la verità – una verità storica e giudiziaria – come unico tributo possibile alla morte di Nino e Ida. Ed è a questa volontà che si è aggrappato Vincenzo, insieme ai suoi famigliari, per non naufragare. Collaborando in prima persona alle indagini e offrendo una testimonianza decisiva sui fatti che avevano portato al delitto. La scelta di non tagliarsi la barba, finché non avesse ottenuto risposte chiare dallo Stato, negli anni lo ha reso una figura simbolica agli occhi di tante altre persone nella stessa situazione. Agostino non mancava mai, agli incontri dei famigliari di Libera e alle numerose occasioni di dibattito e sensibilizzazione sulla criminalità organizzata. Lo potevi incontrare in qualunque parte d’Italia ci fosse da portare una testimonianza, uno stimolo, ma anche una parola di incoraggiamento per gli altri che soffrivano come lui.
Sempre franco nel parlare, sempre generoso nel partecipare, sempre inflessibile nel chiedere conto alle istituzioni sugli sforzi in materia di contrasto alle mafie e tutela delle vittime. Se ne è andato zitto zitto, proprio quando ormai sembrava mancare pochissimo alla meta. Non ha avuto il tempo di tagliarsi la barba, ma porterà la notizia alla sua amata Augusta, mancata cinque anni fa, che sulla propria tomba aveva fatto scrivere: “Qui giace Augusta Schiera, madre dell’agente Antonino Agostino. Una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte”.
Ecco, tutti speriamo che quella lunga, insopportabile attesa non sia stata vana. Fra poche settimane si chiuderà l’ultimo dei processi ancora in corso sul delitto Agostino, dopo che alcune condanne sono già state emesse.
Il nostro saluto a Vincenzo è reso meno amaro dalla consapevolezza che il risultato inseguito per tutti questi anni è finalmente a portata di mano. E dalla gratitudine che proviamo perché, attraverso il suo esempio, tante altre persone e famiglie hanno trovato la forza di trasformare la memoria sofferente in un impegno di speranza.
Luigi Ciotti