Quello sfregio di Salvo Riina alla Sicilia che sfida la mafia

Di Don Luigi Ciotti

Non se lo dovrebbe permettere. Ma se lo fa, con l’arroganza che da sempre contraddistingue il modo di agire mafioso, siamo noi a non doverglielo permettere. A dover alzare le nostre voci per sovrastare la sua. Mi riferisco all’uscita infelice di Salvo Riina, figlio terzogenito del boss Totò Riina, che ha mandato pubblici auguri di Ferragosto a chi lo segue da «via Scorsone», la strada di Corleone dove a lungo ha abitato la sua famiglia. Una strada della quale evidentemente ritiene di detenere la proprietà, tanto da sceglierle il nome.

Quella via infatti da molti anni è intitolata alla memoria di Cesare Terranova, un bravo e tenace magistrato, fra i primi a combattere i crimini dei «corleonesi». Fra i primi, anche, a finire vittima della sanguinaria vendetta dei boss, morendo 45 anni fa in un agguato insieme al fedele agente di scorta Lenin Mancuso. Quella di Riina junior non è una innocua «battuta» e non va sottovalutata, complice la pigrizia di questi giorni di vacanza, che rischia di trasformarsi in un inaccettabile torpore delle coscienze. La sua frase manda infatti un messaggio preciso: Corleone è ancora «cosa nostra», le regole qui le facciamo noi. Lo stesso tipo di atteggiamento da cui nascono le minacce, ancora più preoccupanti, rivolte nei giorni scorsi al magistrato minorile palermitano che si occupa di allontanare i figli della mafia dalle influenza negative delle famiglie. Il suo ruolo, che in passato fu svolto con passione da Francesca Morvillo, è delicatissimo e prezioso. Perché anche i figli, per molti mafiosi, sono in fondo delle «proprietà»: un investimento sul futuro dei propri affari criminali. La sfacciataggine di Salvo Riina ci dimostra purtroppo quanto conti l’impronta educativa che un ragazzo riceve, nel bene o nel male, in un contesto familiare di quel tipo. Ma ci sono altre famiglie che esercitano un’influenza del tutto diversa. Sono le famiglie oneste di Corleone, indignate per quanto accaduto. Oggi grazie a tanti anni di impegno a ogni livello – dalla magistratura alla politica, dell’associazionismo alla scuola e alla Chiesa – «corleonesi» non è più infatti il nome di un sodalizio criminale, ma di un popolo, di una cittadinanza che ha saputo cambiare e smarcarsi da quel passato così tragico.

Né possiamo dimenticare le famiglie delle vittime delle mafie, che mettono in campo un impegno civile di testimonianza capace di toccare le coscienze di tanta gente. Inclusi tanti ragazzi e ragazze precocemente avviati alla delinquenza, che incontrando nei percorsi di giustizia riparativa questi padri, madri, figli e il loro dolore, si scoprono in tempo per imboccare una diversa strada.

Quando le strade cambiano direzione, è giusto che cambino anche nome. Se ne faccia una ragione Salvo Riina! E con lui tutti quelli che vorrebbero condannare i propri figli a un destino non scelto di illegalità e infelicità.

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