Colpevoli Aceste e Fanara, assolti Barone, Leo e Urso. In Cassazione intanto si è chiuso il procedimento svoltosi col rito abbreviato. Condanna definitiva per Pidone, lui il capo della cosca di Calatafimi
Il Tribunale di Trapani – presidente giudice Troja, a latere giudici Marroccoli e Cantone – tra 90 giorni depositeranno le motivazioni della sentenza pronunciata oggi pomeriggio che ha chiuso il procedimento ordinario scaturito dal blitz antimafia denominato “Ruina” che nel 2020 portò anche a clamorosi arresti nel territorio di Calatafimi. Erano cinque gli imputati comparsi dinanzi al Tribunale, per tutti questi il pm della Procura distrettuale antimafia di Palermo aveva chiesto condanne complessive a settantotto anni di carcere, ma il Tribunale ha condannato solo due dei cinque imputati e a pena più basse di quelle chieste dall’accusa. I condannati sono stati Giuseppe Aceste a tredici anni (venti anni aveva chiesto il pm) e Giuseppe Fanara a dodici anni e sei mesi (la richiesta era stata di diciotto anni). Nei loro confronti il Tribunale non ha riconosciuto alcune aggravanti. Piena assoluzione per l’ex presidente della Cantina Kaggera, Salvatore Barone (il pm aveva chiesto una condanna a sedici anni), conosciuto nell’ambiente politico trapanese per essere stato direttore della municipalizzata del trasporto urbano Sau e poi dirigente della subentrata Atm. Assolti altresì Stefano Leo (per lui il pm aveva chiesto diciotto anni) e Leonardo Urso (contro di lui c’era una richiesta a sei anni). Nutrito il collegio difensivo degli imputati, comporto in generale dagli avvocati Enrico Sanseverino, Giuseppe De Luca, Massimo Zaccarini, Vito di Graziano.
Nelle stesse ore ma a Roma, la Cassazione ha parzialmente chiuso il capitolo processuale sul resto degli imputati che hanno scelto di essere giudicati col rito abbreviato. La Cassazione ha confermato la sentenza di appello pronunciata nell’ottobre 2023. Il riconosciuto reggente della cosca di Calatafimi, Nicolò Pidone, è stato condannato a sedici anni e quattro mesi, Rosario Tommaso Leo, boss di Vita, dieci anni e dieci mesi. Per loro due quindi condanne definitive. Si deve ripetere invece il processo di appello per Gaetano Placenza, altro calatafimese, riguardante l’aggravante delle armi, e per Domenico Simone, per favoreggiamento.
Dall’indagine sono usciti con assoluzioni già pronunciate in primo grado Andrea Ingraldo e Vincenzo Ruggirello, agente della polizia penitenziaria. Nell’ambito dell’ indagine “Ruina” ricevette un avviso di garanzia anche Antonino Accardo, all’epoca sindaco di Calatafimi, ma la sua posizione è stata archiviata senza arrivare a dibattimento.
L’operazione “Ruina”, condotta dalla Squadra Mobile di Trapani ha avuto come oggetto la famiglia mafiosa di Calatafimi, che attraverso Pidone ha dato anche aiuto ad alcuni latitanti, come il pacecoto Vito Marino , nel frattempo deceduto in carcere. Nel processo svoltosi dinanzi il Tribunale di Trapani, il pm Pierangelo Padova ha insistito nell’indicare la cosca di Pidone come una struttura “tipicamente mafiosa che si è occupata di inquinamento delle attività economiche e della risoluzione di controversie, quelle utili a guadagnare consenso”. Tra gli episodi cruciali indicati dal pm un clamoroso furto di cavalli avvenuto a Calatafimi durante una manifestazione equestre di proprietà di un maneggio di Custonaci e l’incendio dell’auto di un imprenditore, reo di aver denunciato alcune persone a proposito degli interessi illeciti relativi alla gestione del parcheggio nell’area archeologica di Segesta.
Dal processo di primo grado sono sparite invece le parti civili che si erano costituite, non essendo state presenti nell’udienza fissata per la discussione finale.