Leone, la Cassazione boccia i domiciliari

Il caso del radiologo che aiutò Messina Denaro La corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura di Palermo, ha annullato la decisione del tribunale del Riesame di sostituire con i domiciliari la custodia cautelare in carcere disposta nei confronti di Cosimo Leone, il tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo arrestato con l’accusa di aver aiutato Matteo Messina Denaro ad accelerare gli esami diagnostici.

Secondo i magistrati, Leone, nel 2020, dopo la scoperta del tumore, sarebbe stato a disposizione del boss durante il ricovero nel nosocomio e gli avrebbe consengnato il cellulare riservato acquistato dal favoreggiatore Andrea Bonafede. La Suprema Corte ha rinviato il procedimento al tribunale del Riesame per un nuovo giudizio. La sentenza segue la decisione del tribunale che riqualificò l’originaria contestazione di associazione mafiosa in favoreggiamento aggravato.

Insieme al tecnico fu arrestato l’architetto Massimo Gentile, che aveva prestato l’identità al boss, e Leonardo Gulotta che avrebbe ceduto il suo recapito cellulare al capomafia per le comunicazioni che avrebbe dovuto ricevere sull’acquisito di un’auto.

La Suprema Corte evidenzia la contraddittorietà delle motivazioni del primo provvedimento del Riesame.

“I giudici del riesame, dopo aver affermato che li contributo fornito dall’indagato al latitante fu del tutto episodico, in altro punto dell’ordinanza, e cioè là dove motivano le esigenze cautelari, riconoscono che l’indagato ‘ha manifestato un’allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso, che ben potrebbe tradursi in condotte agevolative anche in favore di diversi associati’”, scrive la Corte. “Usano quindi una dizione che, quantomeno sul piano linguistico, evoca – sebbene in termini di potenzialità – la ‘stabile messa a disposizione’ alludendo a un concetto che, se riempito, come necessario, dei necessari contenuti di offensività, potrebbe addirittura indiziare in capo all’indagato l’ipotesi partecipativa. Il che richiama alla necessità di accertamenti ulteriori nel merito”, concludono i giudici romani.

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