Scialandro, pm chiede dieci condanne per 120 anni di carcere

Mafia: tra gli imputati l’ex vice sindaco di Custonaci, Carlo Guarano

E’ cominciata la fase della discussione del processo che col rito abbreviato si svolge dinanzi al gup del Tribunale di Palermo e nel quale sono imputati dieci dei diciotto indagati per i quali la Procura distrettuale antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio e coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Scialandro”. La Procura con i pm , Beux, Brandini e De Leo, ha chiesto quindici anni per Vito Manzo e Giuseppe Maltese, dodici anni per Gaetano Barone, Luigi Grispo, Santo Costa, Paolo Magro, Roberto Melita, undici anni e quattro mesi per Carlo Guarano, dieci anni per Giuseppe Costa e infine quattro anni per Andrea Internicola. In generale i principali reati contestati sono quelli dell’associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni.
L’operazione Scialandro condotta nell’ottobre 2023 da Dia, Polizia e Carabinieri, ha visto indagate trentuno persone, ma solo per diciotto la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio. Una indagine che che ha riguardato il contesto mafioso tra Custonaci, Valderice e Trapani. Una indagine che fece emergere il ruolo attivo delle famiglie mafiose locali ed il riemergere di personaggi storici di Cosa nostra trapanese, come Pietro Armando Bonanno, che tornato libero dopo una lunga carcerazione, per gli investigatori si era rimesso a capo delle cosche appartenenti al mandamento trapanese. Con lui altro personaggio pare riemergente, Mariano Minore figlio e nipote di potenti boss degli anni antecedenti al 1982, come Calogero, detto Caliddo, e Totò. “Uno nasce con una stidda….io seguo la linea perfetta che mi ha lasciato mio padre”, andava raccontando Mariano Minore mentre al bar si intratteneva con i suoi amici. La cosca dei Minore, che regnava nella zona del Borgo Madonna di Trapani, dopo l’uccisione del capo cosca Totò Minora per ordine di Totò Riina, venne “posata” dai corleonesi, e Caliddo Minore venne risparmiato, proseguì per un periodo la sua latitanza, venne infine catturato dai Carabinieri, potendo alla fine morire nel suo letto: per il suo funerale la Basilica della Madonna era piena all’inverosimile, e nel quartiere ci furono commercianti che chiusero l’attività per lutto. Quell’ultimo saluto era chiaro essere riservato anche per il boss dei boss Totò Minore che un funerale non l’aveva potuto avere, fu strangolato e poi il corpo sciolto nell’acido dopo un summit nella frazione palermitana di Partanna Mondello. L’indagine “Scialandro” ha portato la Procura antimafia di Palermo a scrivere un atto di accusa che colpì l’amministrazione comunale di Custonaci, per il coinvolgimento dell’allora vice sindaco Carlo Guarano, mentre primo cittadino era l’ex Dc Giuseppe Morfino (tra i 31 indagati, ma non indicato tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini, una posizione stralciata). Custonaci, l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Fabrizio Fonte è costituita parte civile nel procedimento. Custonaci è emersa continuare ad essere una delle roccaforti di Cosa nostra trapanese. Per gli inquirenti è qui che continua ad annidarsi la mafia capace di far politica e fare impresa: Centro di affari sporchi, anzi sporchissimi, tra mafia e politica, dove si è anche calpestata la gente alla quale sono state negate risposte ai relativi bisogni. In pieno periodo Covid, scrivono i magistrati nella richiesta di misura cautelare, fondi stanziati sarebbero diventate occasioni di guadagno personale, anche in termini di consenso elettorale, e speculazione.
Custonaci sarebbe stata governata nella stagione politica antecedente al voto amministrativo della primavera 2023, da una Giunta parallela, dove Cosa nostra ne avrebbe fatto parte con tutto il migliore agio. Certo è sempre a sentire magistrati e investigatori, che al Municipio di Custonaci per anni c’è stato un certo via vai di personaggi, uomini e donne, che con Cosa nostra erano anche più che parenti, ma degli assoldati. E senza tante remore il vice sindaco Carlo Guarano, che sarebbe finito in Giunta proprio come rappresentante della cosca, andava dicendo, nemmeno sottovoce, che erano divenute insopportabili le manifestazioni a ricordo di Falcone e Borsellino e che la targa collocata nell’aula consiliare dedicata al giudice Antonio Caponnetto se qualcuno doveva pagarla non potevano che essere, a suo dire, i familiari del giudice.
Altro nome “pesante” coinvolto nell’indagine è quello di Giuseppe Costa, che fece parte del gruppo di sequestratori del piccolo Giuseppe Di Matteo, il ragazzino ucciso e sciolto nell’acido per vendetta contro il pentimento di suo padre, l’ex boss Santino Di Matteo. Giuseppe Costa al momento del blitz Scialandro si trovava già in carcere per un’altra condanna intanto sopravvenuta, per essere diventato un vero e proprio capo della “famiglia” locale di Custonaci, dopo aver scontato quella per il sequestro del piccolo Di Matteo.

Lo scenario descritto al giudice dai pubblici ministeri è carico di elementi di prova: ad essere stata fotografata è stata una mafia che è tornata al più antico degli interessi, quello del controllo del territorio attraverso il predominio su cospicue proprietà terriere, sui pascoli, imponendo le proprie gabelle, o anche mettendo mano ad aste giudiziarie, il controllo dei mercati del calcestruzzo, o di quello oleario, la gestione dei materiali di cava finiti a riempire i nuovi porti in mezza Sicilia.
Dinanzi al Tribunale di Trapani comincerà invece nelle prossime settimane, a dicembre, il processo col rito ordinario. Imputati sono Pietro Armando Bonanno, Gaetano Gigante, Francesco Lipari, Giuseppe Maranzano, Mario Mazzara, Mariano Minore, Francesco Todaro e Giuseppe Zichichi.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.