Ciaccio Montalto, 42 anni dopo mai una parola di scuse

Trapani e il delitto del magistrato ucciso e mascariato

Vado diretto. Senza giri di parole. Anche su di giri, lo riconosco. Non sono speranzoso di aprire chissà quale breccia, però sono abituato a non mandare a dire le cose. Sono trascorsi con oggi 42 anni dall’omicidio mafioso del magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Quando fu ammazzato, in quel di Valderice, il 25 gennaio 1983, aveva 42 anni, era pm a Trapani in procinto di assumere lo stesso ufficio a Firenze. Stava andando via da Trapani, la mafia trapanese decise di liberarsi di lui in maniera definitiva. Ci vorranno decenni a capire il perché di quella decisione. In Toscana Cosa nostra aveva già la sua base, c’erano all’opera i mafiosi della provincia di Trapani, che lì riciclavano i capitali nel mondo delle imprese, e negli affari. Era evidente che il delitto era di mafia, ma Cosa nostra si diede subito da fare a sporcare, a mascariare, il nome di quel magistrato. Non dovette sforzarsi molto, riuscì subito nell’intento , complice una società che all’epoca negava l’esistenza della mafia. Ma le complicità non erano solo in giro per le strade della città, albergavano nei salotti, in mezzo alla borghesia cittadina, dentro a quel Tribunale, dove girava il verme della corruzione, dove c’era un procuratore della Repubblica che spesso faceva passare per incerto quello che a lui stesso risultava certo. Le parole non sono mie, ma proprio del magistrato Ciaccio Montalto, scritte in una delle lettere che si scambiò con un altro giudice per bene, Mario Almerighi. Ecco, vengo al dunque: in 42 anni da quel delitto non ho mai sentito una sola persona chiedere scusa a Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Tante iniziative a ricordarlo, mostre, teatro, convegni, barche a vela (cosa questa che fa impazzire la città, dimenticando che con le vele la mafia ha fatto grandi business), ma mai nessuno a chiedere perdono, per aver maltrattato quel magistrato, in vita e poi anche dopo essere stato vittima della mafia. Ciaccio Montalto fu il primo pm ad essere ucciso, fino ad allora la mafia aveva usato i sicari per uccidere i capi degli uffici, delitti orribili, ma fino al 1983 aveva risparmiato i sostituti procuratori. In Ciaccio Montalto aveva riconosciuto l’inquirente che non si sarebbe fermato mai davanti a niente, che nessuno sarebbe mai riuscito a convincere “ad abbassare i toni”, il nemico da sconfiggere. Perché era anche quello che dentro al mondo della giustizia aveva saputo riconoscere i mali, quei problemi da sconfiggere per riuscire a saper rendere Giustizia. Ci sono carte da rileggere molto bene. La politica, allora quella di governo rappresentata dalla Dc, che metteva mano nelle nomine dei vertici giudiziari. La politica che grazie a certi procuratori modellava le leggi in certa maniera, “senza tenere conto dell’interesse pubblico”. Ciaccio Montalto che riconosceva di “vivere in fondo al sacco”, ma che Trapani era un osservatorio privilegiato per capire come andavano certe cose, perché, riconosceva, c’erano decisioni sottoscritte a Roma o a Palermo, ma che era qui, dove viveva lui, che venivano prese. Trapani, dove in quegli anni la mafia con la politica, e la massoneria, avevano costituito un invincibile convitato di pietra. Capace di spiare il lavoro di magistrati e mandare a dire a certi poliziotti, per esempio, che il regno degli esattori Salvo di Salemi non doveva essere mai toccato. Ucciso Ciaccio Montalto, pochi mesi dopo, a Palermo, la stessa mafia fece a pezzi con l’esplosivo il capo dell’ufficio Istruzione, il giudice Rocco Chinnici. Ciaccio Montalto che scriveva del mondo delle carceri. Pare leggere qualcosa di attuale, i mafiosi trattati con rispetto, i poveracci maltrattati. O ancora, il passaggio nei suoi scritti dedicato al terrorismo, “usato come specchietto per le allodole”, per non far guardare verso altri versanti. Ma non vi sembra che la situazione di quegli anni è sovrapponibile a quella di oggi? Oggi che si dice che l’emergenza sono i migranti o ancora tante altre cose, compresi i chiodi infilzati nelle centraline ferroviarie, o che è dispendioso dare risorse ai Palazzi di Giustizia, ogni giorno svuotati di qualcosa. La mafia comandava e intanto Ciaccio Montalto passava per uno ammazzato per questioni amorose. Lui che aveva scelto di animare una corrente della magistratura dal nome altosonante, Impegno Costituzionale. Lui nella Costituzione ci credeva per davvero, tanto da perderci la propria vita. Ed allora chiudete con le scuse quella stagione infame. Così davvero si potrà ricordare per come merita il magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.