CASTELLAMMARE DEL GOLFO. Si è svolto ieri, presso l’istituto “Mattarella-Dolci” l’incontro organizzato da “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” in memoria delle vittime della strage di Pizzolungo, Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta.
Hanno partecipato Margherita Asta, Vincenzo Desiderio, Ismaele La Vardera e il giudice Carlo Palermo.
Memoria e impegno: questo è stato il filo conduttore che ha caratterizzato l’intera giornata. “Memoria e Impegno,un binomio che Libera ha fatto suo” ha ricordato Vincenzo Desiderio, referente del presidio “Piersanti Mattarella” di Castellammare del Golfo.
Ismaele la Vardera, giovane giornalista che con la sua inchiesta ha permesso di smascherare i brogli elettorali del comune di Villabate, provocando le dimissioni degli amministratori, ha presentato il suo libro “le piccole cose fanno la differenza. Il silenzio è dolo”. Un libro che riprende l’inchiesta fino ad arrivare al servizio del programma televisivo “Le Iene”.
“Oggi la politica non ha perso il vizio di far passare i diritti dei cittadini per favori. Oggi, – ha spiegato Ismaele – si cerca ancora il “favore” dal politico di turno. Questa storia del “favore” deve finire. La nostra è una terra bellissima, ma è stata uccisa troppe volte dai politici di professione. Oggi, che la mafia si è evoluta e la cultura mafiosa purtroppo dilaga, sono i gesti, anche i più piccoli, che fanno la differenza. La mafia – continua Ismaele La Vardera – inizia a fare proseliti proprio con la cultura mafiosa. Spesso chi svolge il proprio lavoro viene etichettato come eroe. Ma quelli che noi oggi chiamiamo eroi, erano maledettamente normali, come lo sono le forze dell’ordine, i ragazzi di libera che ogni giorno ci mettono la faccia. Bisogna scegliere da che parte stare. Scegliere di non scegliere è di per se una scelta.”
Quella maledetta bomba, che quel 2 aprile 1985 uccise Barbara, Giuseppe e Salvatore, era destinata al giudice Carlo Palermo, che nella Trapani di quegli anni, aveva messo le mani sugli “affari” che bisognava lasciare nell’ombra. “Arrivato a Trapani mi sono subito scontrato con i poteri forti. Armi e droga, – spiega Palermo – erano affari importanti. Quegli schemi sono gli stessi schemi di oggi. Per fare memoria dobbiamo comprendere la nostra storia. A Trapani, in quegli anni, la parola mafia veniva usata con cautela, il solo nominarla faceva paura. Oggi la mafia non è più quella degli anni 80. Oggi abbiamo una mafia evoluta, che ha oltrepassato i confini, dell’Italia e non solo. Non dobbiamo asfaltare la memoria, dobbiamo conoscere la nostra storia per sapere chi siamo.”
Margherita Asta in questa storia brutta, tragica, incomprensibile e ancora non del tutto chiarita, ha pagato il prezzo più alto. “Piccoli gesti, come quello di Ismaele, – ha spiegato – dovrebbero essere gesti quotidiani di ognuno di noi. Purtroppo ancora oggi non siamo riusciti ad arrivare alla verità. È mio diritto conoscere la verità, come cittadina e come figlia.” Infatti ad oggi sono stati individuati e condannati soltanto i mandanti, ma gli imputati come esecutori materiali, alcuni anche castellammaresi, sono stati tutti definitivamente assolti in Cassazione.
“Da piccola mi nascondevano i giornali, mi dissero che era stato un incidente stradale ad uccidere la mia famiglia, – racconta Margherita Asta che all’epoca aveva solo dieci anni – ma con gli anni mi sono resa conto che il problema non era il giudice Palermo ma chi lo voleva morto.” Il racconto di Margherita è un pugno nello stomaco, che soffoca. Un racconto che gela il sangue. “Oggi spero che la mia vicinanza possa riuscire ad aiutare il giudice Palermo per il profondo senso di colpa, ma in questa vicenda la colpa è anche di alcuni segmenti delle Istituzioni che non ci hanno permesso di arrivare alla verità. Per essere credibili e coerenti – continua Margherita – dobbiamo conoscere e scegliere da che parte stare.
Il giorno dopo l’attentato a Trapani qualcuno disse “la mafia a Trapani non esiste”, poco tempo fa qualcun altro disse qualcosa di simile, a distanza di trent’anni, cos’è cambiato a Trapani? Alla domanda il giudice Palermo ha sottolineato che “sono tante le differenze, trent’anni fa c’era una situazione politica e culturale decisamente diversa, erano gli anni della loggia P2, della massoneria, oggi possiamo dire che esistono ancora? sono ancora presenti come in quegli anni? Io credo di no, almeno spero. Oggi purtroppo ci sono ancora quei substrati presenti, purtroppo compiere i reati è diventato più semplice e quindi è più facile ottenere l’impunità. Oggi la criminalità è globale, e con lei anche chi la combatte deve adattarsi e necessariamente avanzare. C’è ancora tanto da fare su questo fronte.”
Margherita invece spiega che “il non vedere la mafia non è solo un problema siciliano. Ormai è un problema italiano e per tanto tempo si è fatto finta di niente. Purtroppo oggi manca la consapevolezza. Non vivo a Trapani da anni, però ricordo bene quell’episodio di trent’anni fa e anche quello più recente. Io dico che bisogna vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e parlarne, per non dimenticare e impegnarsi sempre di più.”