Il primo cittadino di Castellammare del Golfo difende la nomina di Motisi, nipote del boss Calabrò, l’assessore rivendica il suo impegno onesto e legale.
Il sindaco di Castellammare del Golfo Nicolò Coppola ha voluto replicare al nostro articolo a proposito della nomina ad assessore del dott. Giuseppe Motisi. La questione a chi ci legge è nota, ne abbiamo scritto nei giorni scorsi sollevando una questione di natura etica, e cioè che appariva “indigesta” in una città come Castellammare del Golfo, che è la città del Presidente Mattarella e di tantissime persone oneste che hanno anche subito la protervia mafiosa, che è la città che le più recenti indagini dicono essere ancora toccata dal fenomeno mafioso, la nomina come assessore di una persona, sia pure mai discussa, nè giudiziariamente intaccata, parente di un boss mafioso, e non di un uomo d’onore qualsiasi ma di quel Gino Calabrò, coinvolto nelle stragi di mafia, da Pizzolungo a quelle del 1993.
Giuseppe Motisi appena nominato è nipote di Calabrò. Coppola non fa marcia indietro, ma lo ringraziamo della risposta.
“Le assicuro – scrive il sindaco – che la mia scelta di essere coadiuvato da Giuseppe Motisi è dettata dalla conoscenza della persona che si distingue per il suo rigore morale e per la sua lontananza da qualsiasi ambiente sospetto. Essere parente di un mafioso è una disgrazia che può capitare in un nucleo familiare, soprattutto in una cittadina come la mia dove le parentele sono spesso molto ramificate. A Castellammare (e ovunque) essere lontani dalla mafia significa dimostrarlo con i fatti: né con le parole né con la vicinanza o lontananza da parenti. Ed io so che Giuseppe Motisi, seppur non avendo mai avuto occasione di farlo pubblicamente a parole, ha sempre preso le distanze, con i fatti, da ambienti ed ambiti malavitosi che non gli appartengono. Giuseppe Motisi, o altri come lui, non possono pagare le colpe altrui. Le persone oneste, anche se hanno parentele “ingombranti”, devono avere la possibilità di lavorare per la collettività ed anche la possibilità di dimostrare la loro distanza da chi non è perbene. Per questo ritengo che per riscattare il nostro paese occorra guardare alle azioni di chi lavora per il presente ed il futuro, senza guardare al passato dal quale tutti noi siamo chiamati a prendere pubblicamente le distanze. Se entriamo nel meccanismo opposto, rischiamo di fare invece il gioco di quella mafia che mira a screditare quello che ritiene l’avversario, in quanto persona onesta. Se cadiamo in questo tranello, i tanti ragazzi e le tante persone che hanno pagato un prezzo carissimo per la presa di distanza da familiari mafiosi o che al momento si spendono con tutte le forze per costruire un futuro migliore per i propri figli non ci avranno insegnato nulla”.
Nella stessa nota stampa ci sono state fatte avere le dichiarazioni del neo assessore Giuseppe Motisi: “L’impegno profuso nella mia attività rende già evidente agli occhi di tutti come io operi per il bene comune e nell’ambito della legalità. I parenti non si possono scegliere, ma la condotta di vita sì. Coloro i quali vorrebbero fare dell’antimafia un’etichetta di cui fregiarsi anziché un modus vivendi, dovrebbero considerare che “fare memoria per costruire un nuovo impegno” non significa discriminare chi, suo malgrado, è cresciuto a contatto con queste realtà”.
E’ proprio sicuro il sindaco Coppola che la nomina assessoriale (come scrive nella premessa) ha suscitato malumori solo di natura politica? E’ vero il rimpasto di Giunta lo ha privato della maggioranza in consiglio comunale, ma se fosse stato solo per questo avremmo scritto un pezzo di cronaca politica. E’ vero invece che almeno alla nostra redazione qualche voce indignata l’abbiamo ascoltata, dai ragazzi di Libera per esempio, da Margherita Asta, familiare di chi fu straziato dal tritolo di Pizzolungo. Non grida questo coro: sussurra.
Non protesta: appare composto in una dignità cristallina che è già di per sé una grande lezione civica. Si limita a proporci la visione di tante pagine di storia strappate, come le vite dei loro cari, disperse per disattenzione o riscritte – e questa è la considerazione più grave e amara – dagli stessi carnefici, dai complici diretti o indiretti della mafia e delle altre organizzazioni criminali. Sarà mancata quella pubblica indignazione che lei signor sindaco sottolinea indirettamente come assente, ma pensiamo che nulla sarebbe cambiato nella sua decisione, nè pensavamo che noi ci saremmo riusciti ma conservavamo una piccola speranza che ciò potesse accadere.
La possiamo però rassicurare che è lontana mille miglia da noi la volontà di mascariare, esercizio che lasciamo solo alla mafia. Perchè vede signor sindaco non pensiamo che i parenti dei mafiosi mai intaccati e mai fattisi intaccare dalle mani così sporche di sangue, come quelle di Calabrò, hanno certamente tante occasioni per dimostrare il loro impegno di legalità, ci sono tanti posti e tante occasioni, insomma non c’è solo la poltrona assessoriale.
Non crediamo che lei avrebbe avuto difficoltà a trovare altri nomi, lasciando a Motisi il suo impegno quotidiano nell’attività che conduce al Genio Civile. Lei fa riferimento ai giovani. Bene, proprio guardando a quei ragazzi che affollano Palermo nei giorni del ricordo delle stragi, giovani che nel ’92 non erano nemmeno nati e che chiamano, anzi urlano i nomi di Falcone e Borsellino a gran voce, quasi che quei Giovanni e Paolo erano loro coetanei, a questi ragazzi dovremmo tutti fornire ben altri esempi. Vorrei ricordarle Plutarco e quel capitolo dedicato alla moglie di Cesare. E’ proprio vero i latini ancora oggi con le loro storie restano attuali, solo che ce ne dimentichiamo al momento opportuno. La moglie di Cesare non è solo qualcosa che serve a vestire l’apparenza. E nel caso che ci riguarda si poteva andare oltre l’apparenza, per esempio, mettendo nero su bianco il pensiero della sua amministrazione rispetto al fenomeno mafioso e a quel fenomeno che a Castellammare resta impersonato da Calabrò, Saracino, dal noto don Ciccio Tempesta al secolo Francesco Domingo, da Mariano Asaro, Michele Sottile, e da altri, alcuni in cella, altri liberi di girare con la pretesa di essere rispettati perchè uomini d’onore. Per concludere.
Stia altrettanto certo l’assessore Motisi questa testata, dal suo direttore all’ultimo dei collaboratori non fanno antimafia per etichetta. Quella la lasciamo ai politici che al momento opportuno continuano a lasciarsi sfuggire le migliori occasioni per dire no alla mafia.