La sentenza della Corte di Appello sulla confisca dei beni all’imprenditore alcamese “re del vento” non ha cambiato il contenuto del pronunciamento di primo grado. Ma abbiamo letto una cronaca diversa, bugiarda
La Corte di Appello di Palermo ha mandato all’aria il tentativo dell’imprenditore Vito Nicastri di ritornare in possesso del maxi patrimonio che gli è stato confiscato, e non sequestrato, come abbiamo letto da qualche parte. Certe cronache giornalistiche di casa nostra offerte al lettore raccontano quasi un’altra storia. Con una cronaca che letta anche dai più disattenti presenta contraddizioni che si toccano con mano. A cominciare dall’incipit…”Vito Nicastri non è colluso con la mafia”. E qual’è la novità? La pronuncia di primo grado, quella che ha condotto alla confisca da 1 miliardo e 300 milioni di euro, confermata in Appello, lo aveva già accertato, d’altra parte se collusione e appartenenza ci fosse stata, la sede giudiziaria sarebbe stata quella del processo penale e non solo quella quindi del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, che nell’aprile 2013 ha confiscato il patrimonio dell’imprenditore e gli ha imposto la misura della sorveglianza speciale per tre anni : ” Nicastri non è certamente un affiliato, ma dalle acquisizioni processuali emerge la figura di un imprenditore che non disdegna di entrare in rapporti di affari con le imprese mafiose e di assicurare alle cosche l’ottenimento di lauti guadagni. Intrattiene rapporti privilegiati con la pericolosa cosca mafiosa palermitana dei Lo Piccolo, con le cosche del messinese, del catanese ma anche con la ndragheta con le pericolose famiglie di San Luca per esempio…a Nicastri era affidato il compito di mettere in contatto la mafia con le imprese pulite”. La convinzione dei giudici di primo grado era sostenuta da una intercettazione fatta a casa di alcuni mafiosi alcamesi: “gli dico Vito fai scendere gli spagnoli qua e gli dici che se non portano un altro milione e mezzo ..Ma cazzo! Loro devono sapere, prima di accendere il quadro che costa niente quel quadro non si metterà mai. Loro ci scendono con l’esercito e io la notte gli mando il topo”. E’ chiaro che il fine della cronaca offerta, era quello di “gridare” la restituzione di quella villetta sorta sulle curve di monte Bonifato. La Corte di Appello di Palermo ha tolto infatti dai beni confiscati questa abitazione. E cosa bisognava far sapere? Biosognava far sapere che quella villetta era stata usata dall’associazione che l’ha avuto in uso per dare accoglienza agli extracomunitari. Se così fosse stato ci saremmo trovati dinanzi ad una buona azione, ma così non è stato, quella villetta non ha mai accolto extracomunitari. Una caduta di stile incredibile e che fa male proprio perché in queste ore il tema dell’accoglienza è così ricco di tragedie. La villetta di Alcamo di proprietà di Nicastri (la corte di Appello ha revocato la confisca ritenendo che l’abitazione non apparteneva al Nicastri, ma semmai al figlio) è stata assegnata in uso all’associazione di Castellammare del Golfo “Castellolibero” che l’ha presa in gestione, ha garantito la manutenzione, ha permesso oggi la sua restituzione in uno stato perfetto, nessun degrado e nessun abbandono. Ma sopratutto non è stata utilizzata per dare accoglienza agli extracomunitari. Per alcune settimane è stata abitata dai giovani di Libera venuti a impegnarsi nei terreni confiscati, è stata talvolta sede di riunioni dei movimenti e delle associazioni, “Venti Liberi” è stato il comune denominatore scelto per tutta una serie di attività. Per il resto il patrimonmio di Vito Nicastri è stato confiscato, come ha titolato correttamente un quotidiano regionale che si è però fidato fin troppo di quanto si era già scritto sull’uso avuto da quella villetta di monte Bonifato. Al momento del sequestro operato dalla Dia di Trapani, provvedimento che ha portato ai pronunciamenti di confisca, lo stesso Vito Nicastri non ha noascosto piena consapevolezza di quello che gli sarebbe accaduto. Ancora intercettazioni, come quella relativa alla telefonata intercorsa tra Nicastri e un suo conoscente che lo aggiornava sulle attività della Dia: “Quand’è così l’avemu no’ culu!”. I più importanti segreti Nicastri li custodiva in una cassaforte aperta dalla Dia. All’interno c’erano documenti e chiavette usb bancarie, certificati ed estratti conto relativi ad aziende a lui intestate, ma anche a soggetti diversi, quella cassaforte custodiva i segreti della sua holding, un mondo di imprese tutte specializzate nella green economy che avevano sede dal Lussemburgo sino alla sua Sicilia, la sua Alcamo dove Nicastri è stato sempre visto come un potente. Forti contatti sono statio confermati come reali con l’ex presidente della Provincia, l’Udc Mimmo Turano tornato a sedere al Parlamento regionale, frequentazioni con il consigliere provinciale Santo Sacco di Castelvetrano, arrestato per i suoi contatti con Matteo Messina Denaro, Nicastri aveva libera circolazione nei palazzi della politica regionale dove di fatto otteneva ciò che gli interessava quando c’era da scrivere per esempio la legge finanziaria, grazie ai suoi buoni rapporti con l’on. Riccardo Savona o con l’ex deputato Emanuele Di Betta, Udc il primo (poi passato col Grande Sud), Mpa l’altro. Quando Turano eletto presidente della Provincia a Trapani fece la sua prima Giunta, nominò anche un assessore “in quota a Vito Nicastri”, Davide Fiore allora una sorta di enfant prodige della politica locale, sconosciuto com’era aveva sfiorato l’elezione all’Ars, e presto si spiegò come mai: Davide Fore risultò essere dipendente di Vito Nicastri, fidato collaboratore. Elettricista 30 anni addietro, Vito Nicastri è stato un imprenditore che ha fatto il “re” nel campo delle energie rinnovabili, un affare che altre indagini hanno raccontato essere “preda” dell’associazione mafiosa. A tradire la realtà fatta da incredibili collusioni è stato ancora Nicastri, pensiero ancora una volta intercettato durante un colloquio:“il bello di vivere qua, senti il territorio, lo percepisci, avverti che bisogna muoversi in un certo modo, capire le esigenze del Sindaco, dei consiglieri, la festa, cinquemila euro sono minchiate, però tu ti fai ah un rapporto, crei un rapporto di..”. La Corte di Appello ha quindi confermato la confisca, ecco i numeri: un miliardo e mezzo di euro confiscato, 43 tra società e partecipazioni societarie; 97 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni); 7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni, anche un lussuoso catamarano); un totale di 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento) e poi confermati i tre anni di sorveglianza speciale. Nicastri ha quindi perduto dinanzi ai giudici di appello, ma ha perduto anche l’informazione perchè al solito c’è chi si offre alla disinformazione.