Il Tevere è meno largo, ma è quello che oggi serve al nostro Paese
Ho tra le mani un paio di foto che uscite dall’archivio del fotografo personale dell’ex premier Berlusconi sono arrivate sul mio tavolo. Vi sono ritratti assieme a Berlusconi un paio di personaggi politici locali e un vescovo, che, gaudente, parla a mister B che in quei giorni passava per Trapani per campagna elettorale. Non era più presidente del Consiglio, ma pur sempre era il “re” Berlusconi. Non sono foto antiche ma l’incredibile corsa degli eventi quei momenti li ha così ricacciate indietro da farli apparire oggi, per davvero, cose antiche d’altri tempi. E’ vero qualcuno di quei personaggi fotografati ancora resiste, c’è fotografato anche lui sorridente l’attuale senatore trapanese Antonio D’Alì, ma se ancora resiste quel senatore, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, forse protagonista di una delle tante trattative tra lo Stato e la mafia, almeno quella Chiesa gaudente con i potenti non c’è più. E’ stato rimosso ed è finito sotto inchiesta per avere chiuso la Chiesa ai poveri, quel vescovo, mons. Francesco Miccichè, così tanto sorridente con la persona che peggio di tante altre ha impersonato la parte più brutta del potere politico italiano, e non solo per i festini di Palazzo Grazioli o di Arcore.
Il vescovo Francesco Miccichè è stato rimosso da Papa Benedetto XVI, si è ritirato nella sua villa, e non in una più dimessa casa, di Monreale, è indagato dalla Procura di Trapani per avere messo in tasca i soldi destinati dallo Stato Italiano alle opere di carità. Forse non è allora un caso che, mandato via quel vescovo, oggi a capo della Chiesa siciliana è arrivato un vescovo dal profondo sud della Sicilia così come a capo della Chiesa di Roma è arrivato un Papa giunto dal sud del Mondo. Oggi ti guardi attorno e vedi sempre di più preti e vescovi che ti parlano della Costituzione. Come ha fatto il vescovo di Palermo monsignor Lorefice. Il Tevere oggi si è fatto più stretto, ma non ce ne dispiaciamo, anche perchè sono finiti i tempi in cui il dibattito sul “Tevere più largo” aveva senso e fondamento. C’è un sacerdote più di altri che ci ha insegnato a vivere questi nuovi tempi, si chiama Luigi Ciotti. Per tanto tempo lo ha fatto quasi da solo. Mentre don Luigi dal Piemonte gridava il suo no alle mafie, c’è stato in Sicilia un altro sacerdote che cercava di farci capire che la Chiesa, quella del fronte antimafia, era pronta a sposare lo spirito di democrazia e libertà insito della nostra Costituzione, si chiamava don Pino Puglisi. La mafia per questo lo ha ammazzato. Il Tevere si è fatto davvero più stretto e il vescovo di Palermo Lorefice ce lo ha anche spiegato, il Vangelo su di una mano, la Costituzione Italiana nell’altra: «Non dobbiamo percorrere la via dello scontro di civiltà, dobbiamo parlare di incontro, di accoglienza, bisogna utilizzare un altro linguaggio». Nel giorno del suo insediamento a nuovo vescovo di Palermo, don Corrado Lorefice ha citato l’articolo 3 della Costituzione Italiana, quello che fissa il principio di uguaglianza tra i cittadini, come sua bussola: «Un articolo meraviglioso, bussola per tutti noi che come cittadini, ognuno nella propria responsabilità e nel proprio ruolo, siamo chiamati a rendere reale nella nostra pratica quotidiana, nella nostra vita di ogni giorno». E il Vangelo? Vivrà nel nome di don Pino Puglisi: «Don Puglisi, la mia guida, non era un prete antimafia: era un sacerdote che portava il Vangelo nella vita degli uomini per liberarli dal falso potere». Le parole del vescovo Lorefice sono parole che si abbracciano con quelle di don Luigi Ciotti,” il primo vero testo antimafia e’ la costituzione italiana”. Il nostro è oggi un Paese che ha bisogno della Chiesa di Papa Francesco, perchè è la Chiesa che non vuol più parlare di Nord e di Sud del mondo. La nostra Costituzione queste fondamenta di unità le ha poste da tempo, non parla di Nord o di Sud, ma parla di un Paese saldato e rafforzato dai doveri e dai diritti. E’ vero spesso ci mostriamo inquieti, ma perchè sappiamo che non è un male essere animati dal dubbio, don Luigi ce lo ha detto spesso, “diffidate di chi ha capito tutto”. Noi oggi non diffidiamo dal nuovo vescovo di Palermo perchè si è presentato dicendo di non conoscere ancora tutto ma di volerlo conoscere, e ci ha anche detto in che maniera vuole farlo. Andando a parlare con le vittime delle illegalità, con le vittime delle corruzione e delle mafie. A loro ha aperto subito la porta della Cattedrale di Palermo come aveva fatto quando a Modica aprì le porte di quella piccola Chiesa. Erano gli anni in cui certi vescovi, come quello di Trapani, apriva le porte al peggiore dei poteri.