Gridiamo la verità sulla strage della casermetta

Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta vittime di quella Cosa nostra che fa un tutt’uno con i servizi deviati

strage alcamo marinaOggi è una giornata importante. Ricordiamo due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta a 40 anni esatti dalla loro barbara uccisione. Prestavano servizio presso l’allora esistente casermetta dei carabinieri di Alcamo Marina. L’ennesimo eccidio che come tanti altri in questo nostro Paese attende una verità che illumini la giustizia. In questi ultimi due giorni a Trapani abbiamo ricordato un’altra vittima delle mafie, il magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Cosa c’entra la storia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto ammazzato 33 anni addietro con quella di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta? Un comune denominatore c’è…è quello di una verità a portata di mano che però introdotta in percorsi precisi, temporalmente sempre lunghi, è stata calpestata, rivoltata, distrutta a favore di una verità bugiarda di quelle che , come si dice nel nostro dialetto, mascariano anche, sporcano e uccidono le vittime una seconda, terza volta in più. E come spesso accade in questo nostro Paese in questa maniera le vittime finiscono dimenticate, sottratte al diritto di conoscenza delle comunità che così crescono, cambiano e di generazione in generazione senza alcun passaggio di testimone che possa garantire almeno la persistenza del ricordo. E si finisce col non sapere o meglio solo col sapere fandonie, bugie. Mi piace ricordare don Milani: ogni parola che non sai è un calcio nel culo che ti prendi quando cresci. E’ con amarezza che lo dico. Lo sport nazionale non è il calcio ma un altro, è quello di tradire ogni giorno la “memoria”. C’è una sapiente regia che ci vuole cittadini che ogni giorno devono prendersi un bel calcio nel culo. Pensate. In questa nostra realtà, in questa provincia di Trapani ci sono voluti vent’anni per dedicare una via a Mauro Rostagno, 40 anni per ricordare Apuzzo e Falcetta. Altro che celebrazioni, oggi dovremmo chiedere scusa perché anche così il ricordo è stato tradito. In questa nostra realtà sono bastati appena 30 giorni per denominare una via a Trapani come via dei grandi eventi per celebrare il cosidetto grande evento della Coppa America, la famosa gara velica disputatasi nel mare delle Egadi nel 2005. Quell’evento sportivo che portò a Trapani in un battibaleno 100 e passa milioni di euro a Trapani, l’ultimo dei grandi affari della mafia che lì in quel denaro affondò le sue mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati. Non stiamo messi bene, chi cerca come Libera di far fare ogni giorno a tutti noi cittadini esercizio corretto della memoria è finito sul banco degli imputati. Invece di riconoscere che esiste una magistratura, che assieme ad investigatori capaci sono riusciti a trovare chi ha tradito i propri compiti, anche giudici corrotti, papaveri e colletti bianchi che hanno tradito l’antimafia responsabile, ecco che tutto il movimento antimafia finisce sotto accusa con una durezza di toni che ovviamente mai sono stati dedicati al fenomeno mafioso. Mentre accade questo un politico arrestato per vicende di mafia, intercettato a dire che rischierebbe la galera pur di mettere in salvo Matteo Messina Denaro, perché assolto torna a sedere in una sede istituzionale rivendicando il diritto di poter dire di essere un uomo dalla parte della legalità. Lui non fa scandalo come un sindaco che se la prende, è cronaca di queste ore, con quelli che lui definisce moralizzatori, i ragazzi che ogni anno vengono anche dalle nostre parti a coltivare le terre tolte ai mafiosi invece si ritrovano sulla graticola. Complice spesso una informazione che generalmente ha deciso di non parlare più di mafia, ma di parlare solo dell’antimafia. Dei professionisti dell’antimafia. Compiendo il dileggio più grave nei confronti non di professionisti ma di partigiani, partigiani dell’antimafia, partigiani che ogni giorno con la parola combattono una nuova resistenza. Carmine e Salvatore ci chiedono ancora di non essere dimenticati, chiedono che la brutta pagina di storia che li riguarda venga scritta per bene. In Italia non c’è stata la trattativa tra Stato e Mafia ci sono state le trattative, e l’eccidio della casermetta di Alcamo è una di queste tante trattative. A me vien da sorridere ma poi mi faccio subito serio quando sento dire a proposito dei morti ammazzati dalla mafia, i morti eccellenti, che si tratta di omicidi di mafia e non solo di mafia, come quasi a voler dire che in fin dei conti la mafia da sola è poca cosa. Ed invece la mafia è essa stessa tante cose, è fatta da mafiosi ma anche da massoni, colletti bianchi, servizi deviati, giudici corrotti e investigatori infedeli, sono tutti assieme dentro un’unica cosa, dentro Cosa nostra. Non ci sono stanze separate c’è un unico salotto dove tutti questi sono stati seduti e siedono ancora a decidere strategie di morte. Carmine e Salvatore sono stati ammazzati nel 1976 perché l’ordine è arrivato da quella stanza e in quella stanza sono stati decisi i depistaggi. Gian Giacomo Ciaccio Montalto fu ucciso nel 1983 perché aveva anche scoperto che il collega della porta accanto era stato corrotto dai mafiosi. Gian Giacomo fu tradito anche da certi suoi colleghi. Carmine e Salvatore sono stati anche loro traditi da loro colleghi, da altri uomini che indossavano la loro stessa divisa. Chi di questi uomini, quei magistrati finti amici di Ciaccio, o i carabinieri che tradirono Carmine e Salvatore, è ancora in vita non ha ricevuto mai alcun segnale di condanna. La memoria di Carmine e Salvatore, come quella di Ciaccio Montalto, anche in questo modo sono state sporcate un’altra volta. Ma va anche riconosciuto che Carmine e Salvatore vivono nel lavoro e nell’impegno diuturno di altri loro colleghi coraggiosi che combattono davvero le mafie e le mafie di questa terra. Così come Ciaccio Montalto che conta sul lavoro di altri suoi colleghi. Concludo. E’ vero la mafia non ha vinto, ma la partita non è finita. Il pubblico in gradinata ha capito e tifa per la squadra dell’antimafia, ciò che mio fa spavento è il silenzio di chi sta seduto in tribuna. Non tifano per nessuno, ma invece il loro silenzio foraggia la mafia e c’è anche che dalla tribuna qualcuno ogni tanto protesta per il fuorigioco inesistente della squadra dell’antimafia. E quindi è per la mafia che fa il tifo. In questa terra abbiamo sentito dire proprio da chi siede nelle tribune che contano , che Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi, abbiamo sentito dire che la mafia non esiste più, lo abbiamo sentito dire davanti ai morti ammazzati e lo sentiamo oggi mentre intere aziende e imprese muoiono, lo abbiamo sentito dire mentre i pizzini di Matteo Messina Denaro riuscivano a passare da mafioso a mafioso fino ad arrivare anche nelle stanze di qualche politico. E’ giusto che i non colpevoli di quel delitto lontano 40 anni si vedano restituita la verità, ma è giusto allo stesso modo che chi è morto, si veda consegnata verità e giustizia. Carmine e Salvatore devono vedersi restituita la verità e la giustizia, che non è solo quella che può essere sancita da una sentenza ma anche dalla voce della comunità. Se ascoltate bene i colpi di arma da fuoco che li hanno uccisi li possiamo ancora sentire. Non ripetiamo quello che si è fatto 40 anni fa, non giriamoci dall’altra parte udendo quei colpi. Abbiamo capito che in questa terra la mafia ha garantito ad apparati dello Stato l’esercizio di trattative criminali a livello internazionale avendone per tornaconto l’impunità. C’è una sentenza che questo ce lo racconta molto bene ed è la sentenza che dopo 25 anni ha sancito che Mauro Rostagno fu ammazzato nel 1988 dalla mafia perché aveva scoperto gli affari più segreti di Cosa nostra, gli appalti truccati, la politica corrotta e i traffici di armi. Gridiamola questa verità, lo dobbiamo intanto a Carmine e a Salvatore. Gridiamo che la mafia è una montagna di merda e ogni mafioso vivo o morto che sia è un gran bel pezzo di merda. Noi sappiamo e ciò che conosciamo va consegnato alla comunità. Io so e per questo sto dalla parte di chi come Luigi Ciotti ogni giorno ci regala impegno e ci consegna verità.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.