Lo scorso 12 novembre 2016, presso l’aula consiliare di Palazzo Crociferi, nel Comune di Castellammare del Golfo, Il Lions Club di Alcamo ha organizzato un convegno denominato “le Verità Nascoste della Storia”.
Presenti per il Club Maurizio Bambina (Cerimoniere, Officer TI, e Leo Advisor), primo ad introdurre i lavori, il dott. Francesco Palermo (Presidente Lions Club Alcamo) ed il dott. Gaspare Buscemi (Presidente della zona 6 Lions Club – 2^ Circoscrizione). Al tavolo dei lavori il vicesindaco (ancorché assessore alla cultura) Antonio Salvatore Bologna, la Prof.ssa Antonella Pennolino (docente di lettere), il Dott. F.sco Bianco (storico, scrittore di saggi e romanzi) e l’ospite d’onore, il relatore più atteso, giornalista e scrittore, Pino Aprile.
Nel suo intervento da “padrone di casa” il vice sindaco definisce il giornalista Aprile penna attenta e divulgatore storico, non mancando di qualificare il suo lavoro come “psicoanalisi del territorio”.
Il dott. Francesco Palermo reca i saluti del Governatore V.zo Spata e parla dello spirito di servizio del club, mentre il dott. Gaspare Buscemi, valutata la nutrita affluenza nell’aula, realizza il raggiunto obiettivo di aver reso un servizio ad una moltitudine di cittadini accomunati dall’ entusiasmo per un argomento molto partecipato.
Continuando negli interventi il dott. Bianco introduce il concetto di … «aprire il ripostiglio della storia e dal buio, come per incanto, tirare fuori “le cose scomode, rinchiuse li in quanto scomode, quelle che non si devono sapere”». Le cose che non si devono (o meglio che non avrebbero dovuto sapersi) sono le importanti verità riemerse, le cose, i volti, le storie, i documenti, gli intrecci, le trame. In breve tutto ciò che storici opportunisti e beceri malfattori avrebbero voluto censurare per sempre, sino a che la patina del tempo non avesse eroso ogni traccia. Saranno pronunciate parole di ringraziamento per l’insegnante Pennolino, adoperatasi affinché, per la prima volta, il liceo scientifico di Alcamo accogliesse, nella sua aula magna, un incontro ufficiale sul tema del convegno, incontrando con i ragazzi Pino Aprile. Un ultimo particolare riconoscimento viene indirizzato all’amministrazione comunale ospitante che esalta ancor più il significato della conferenza. È di per se un grande risultato tenere il convegno in una sede delle istituzioni, ed alla presenza dei suoi più rappresentativi membri. Nel novero delle citazioni storiche il Dott. Bianco annovera il movimento di resistenza e i sacrifici umani imperdonabili. Immancabile il riferimento ai minori eccidiati (Angelina Romano, 8 anni, accusata di brigantaggio e Giuseppe Magaddino, di 4 anni, parente di qualche renitente alla leva). Al termine del suo intervento il ricorso ad una citazione: «non è vero che non si può cambiare la storia: basta riscriverla!».
Nel solco di tale principio continua la docente Antonella Pennolino che parla di storica conquista. L’incontro delle giovani generazioni con le remote verità del passato. L’insegnante racconta agli astanti il proprio approccio a questo tema delle verità storiche nascoste, che inizia a seguito di un concerto (il Sud Tour di Fiorella Mannoia) in cui la cantante invitava palesemente gli astanti a leggere il libro “Terroni”. La lettura, sconvolgente, suscita un’affermazione forte, al punto da farle dichiarare, ora: «Credevo di sapere, ma solo adesso so!». Da questo nasce l’invito generico a prendere coscienza di ciò che sta alla radice del nostro Sud, e quello più specifico ai ragazzi di guardare le cose da più prospettive ed angolazioni, ponendosi sempre domande. Anche qui la chiusura dell’intervento è una citazione. La frase di copertina del libro di Aprile: “Mio Padre ci chiamò e ci disse: ricordatevi, figli miei, quando una cosa nessuno te la vuole dire, allora la terra si crepa, si apre. E parla! ORA, LA TERRA HA PARLATO. NESSUNO POTRÀ PIÙ DIRE: IO NON SAPEVO.”
Finalmente è la volta del personaggio tanto bramato dagli astanti. Pino Aprile, classe 1950 e un curriculum di tutto rispetto: vicedirettore di “Oggi”, direttore di “Gente” e del mensile “Fare vela”, artefice di appassionanti inchieste televisive e tanto altro ancora, ma più che altro noto per essere il “meridionalista” più seguito in Italia. La sua popolarità prorompe nel 2010, anno in cui ha pubblicato il best-seller “Terroni” (250.000 copie vendute), un saggio giornalistico che descrive gli eventi che hanno penalizzato economicamente il meridione, dal Risorgimento ai giorni nostri. Per questo libro (da cui nasce persino un omonimo spettacolo teatrale), gli sono stati conferiti, fra gli altri, a Palermo il Premio Augustale, a Reggio Calabria il Rhegium Julii, ad Aliano il Premio Carlo Levi, ad Avezzano il Premio Marsica. Nel 2011, a New York (Manhattan), in concomitanza con la presentazione dell’edizione americana di Terroni, ha ricevuto il premio “Uomo ILICA 2011” (Italian Language Inter-Cultural Alliance) e nel 2012 si è aggiudicato il primo premio della prima edizione del Premio Letterario Caccuri dedicato alla saggistica.
Pino Aprile inizia il suo intervento ringraziando il vicesindaco (ancorché assessore alla cultura) Bologna per aver descritto il suo lavoro come “psicoanalisi del territorio”, riconoscendo a quella frase il merito di aver colto il senso di tante fatiche storico-investigative. A tal proposito racconta di come l’ultimo libro sia stato uno sforzo devastante, sia mentalmente che fisicamente, al punto da sfinirlo, in tutti i sensi.
Aprile intraprende il suo monologo partendo da lontano, con la citazione dell’invenzione dei recinti, che 10.000 anni fa ha cambiato la civiltà sul pianeta, e con l’etimologia stessa di recinto, che in antico persiano era denominato “paradiso”. I recinti, i muri, resi necessari dall’affermarsi degli stati nazionali hanno invece creato violenza, diffidenza, preclusione, guerre. La narrazione prosegue con una definizione. In particolare quella del Genocidio. Da lì la disamina di quella serie di azioni volte a cancellare l’identità di un popolo e la sua cultura ed una riflessione sul fatto che il genocidio resta tale anche se fisicamente non uccide nessun uomo.
Le aggressioni, le prevaricazioni, le violenze, i genocidi, vecchi come la storia dell’uomo, sono una costante per tutti i popoli, e non sono un fenomeno unicamente italiano. Succede anche all’estero, ma tutte le altre nazioni se lo raccontano, noi, ancora, NO!
Appassionato della cultura giapponese il giornalista non ha perso occasione per vantarne la levatura morale. Un episodio, in particolare, pare a lui significativo per menzionarne la lealtà e la rettitudine. Saigo Takamori ed Okubo Toshimichi, pur in passato molto amici finirono per diventare nemici nella seconda parte della loro vita a causa di vedute diverse inerenti alla modernizzazione del Giappone. Saigo era a capo dei ribelli che si batterono contro le truppe governative. Fu decapitato dai partigiani. Okubo implorò la fazione avversaria affinchè gli fosse consegnata la testa. La ottenne. Il corpo ricomposto ricevette le cerimonie e gli onori dovuti al più nobile dei samurai. Al nobile Saigo, una decina di anni dopo la sua morte, venne innalzato a più alta dignità da chi lo aveva combattuto e sconfitto (in Giappone è possibile essere promossi, nella gerarchia statale, anche alla memoria); e gli fu dedicata una statua in bronzo, eretta a Tokio dove ad oggi è ancora oggetto di venerazione.
Le vicende che videro calpestata l’onestà e l’onore dei nostri antenati, al sud, non hanno avuto alcun riconoscimento, e questo – afferma l’oratore – brucia dentro come fuoco, reca con se l’amarezza e la frustrazione di chi viene tradito dal padre (la patria).
Occorre, dinnanzi a tanto dolore, la “condoglianza”, il DOLERSI-CON, la capacità di comprendere e partecipare al dolore, una forma di intima empatia. Chi non si duole è chiaramente estraneo, nemico.
Il dolore è dovuto per l’improvviso e abnorme calo demografico, per le deportazioni, gli stupri (fisici, psicologici, architettonici, economici, ecc.), le privazioni e per tanto altro male che, dai Savoia in poi, una parte del c.d. stato Italia (il SUD) ha subito in via esclusiva e tendenziosa.
Cancellare o infangare l’identità di un popolo è stata una delle peggiori nefandezze tentate:
I Savoia liberatori (in quanto tali) hanno fatto scempio dei liberati. Rivelatisi abilissimi in saccheggio, giustizia sommaria, deportazione, violenza sessuale, libidine violenta, piromania, omicidio, mutilazioni, ricatti, promesse vane ecc. hanno trovato opportuno giustificazione il massacro [qualcuno ebbe a dire, in altro ambito, “non sono io ad essere razzista, sono loro che sono neri” N.d.A.] sovvertendo la verità, occultandola e infangando la memoria dei vinti. Ci hanno rubato l’identità, dipingendo le vittime con la foggia che alle loro coscienze sembrava più comoda per la narrazione futura. Hanno detto che (prima dei Savoia – liberatori) eravamo arretrati, poveri, analfabeti, oppressi. Potremmo confutare ogni addebito.
• In ogni città del sud c’erano almeno 2 scuole
• Il gigantesco Albergo dei Poveri rivolto ad accogliere le masse di poveri del Regno era una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa.
• A Napoli l’università aveva il doppio degli studenti di tutto il resto d’Italia
• La prima facoltà di Archeologia nacque a Napoli
• La prima facoltà di Sismologia nacque a Napoli
• La prima facoltà di Vulcanologia nacque a Napoli
• La moderna Storiografia nacque a Napoli
• La prima facoltà di Economia Politica nacque a Napoli
• Si stima (da calcoli che verosimilmente sono errati per difetto) che al Banco di Napoli siano stati razziati l’equivalente di 1.500 miliardi di euro. A questo non aggiungiamo i saccheggi ed il bottino fatto con fabbriche, chiese, musei, abitazioni signorili, ecc. Se solo riconoscessero di restituirci (anche a rate) i 1.500 miliardi di euro il sud (da solo) risolverebbe tutti i problemi atavici da cui mai il governo ci ha affrancato (vedasi infrastrutture e spesa pubblica).
Una riflessione Pino la rivolge a San Marino. Mai espugnata da savoiardi o garibaldini facinorosi. Restò indenne come la Svizzera durante il secondo conflitto mondiale. Forse l’analogia trova fondamento nei vari viaggi d’affari che personaggi come Francesco Crispi o lo stesso Garibaldi fecero nella repubblica di allora.
Ancora una riflessione si volge al ritiro del nizzardo a Caprera. La narrazione fiabesca vorrebbe che l’eroe nizzardo giungesse alla volta di Caprera conducendo con se un “sacchetto di sementi, alcuni barattoli di caffè e zucchero, una balla di stoccafisso ed una cassa di maccheroni”. Peccato che il tenore di vita di Garibaldi possessore di un’isola come pochi (oltre alla la reggia, il panfilo, la servitù, ecc.) tradiscono uno status più abbiente, ed una storia diversa.
L’università, il mondo accademico, dovrebbero per primi far tesoro dei dati emersi e rendere giustizia ad una pagina di storia tarocca dall’amaro sapore della beffa sommata al danno. Purtroppo non è ancora così, perché altrimenti la storia sarebbe stata riscritta subito. Sopperiscono dunque dei generosi ricercatori, dei pazienti e munifici amanuensi della ricerca documentale che, creando un primordio di rete, vengono connessi dai divulgatori per la pubblicazione delle informazioni rinvenute.
Immancabile il riferimento ed il racconto di Aprile degli eventi di Pontelandolfo e Casalduni. Al racconto delle crude atrocità la platea della sala consiliare gela, non emette un solo gemito per un tempo che sembra interminabile, quasi stesse assistendo al consumarsi dei fatti.
Lo Stato, rase al suolo, con la ferocia delle peggiori ritorsioni militari di un esercito d’occupazione, un «proprio» Paese. Un pezzo della patria. Li, ed in altri 100 paesi, la barbarie dell’invasore ha mostrato il suo volto più malefico e perverso. Il generale Cialdini, per l’attuazione del piano (l’aggressione vigliacca alle civili popolazioni di Pontelandolfo e Casalduni), incaricò il colonnello Pier Eleonoro Negri e il maggiore Melegari, che comandavano due reparti diretti rispettivamente a Pontelandolfo e a Casalduni. A Vicenza una targa ricorda le eroiche gesta del Negri, ed ogni anno il sindaco depone una corona in memoria dell’eroico vicentino.
Il lutto della nazione giunge tardivo, un secolo e mezzo dopo i fatti, il 14 agosto 2011, per conto dell’allora Presidente Napolitano, affidato al presidente del comitato per le celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, Giuliano Amato. Il delegato commemorerà quella strage, porgendo a tutti gli abitanti di quella che è stata definita «città martire», le scuse dell’Italia. A Pontelandolfo un Monumento in bronzo in memoria delle Vittime dell’Eccidio viene onorato anche dal sindaco di Vicenza Achille Variati in rappresentanza della città di Pier Eleonoro Negri. La banda di Pinerolo dell’esercito, orgoglio dei piemontesi. E infine loro, i bersaglieri. Giunge persino il fraterno abbraccio fra «le due parti della Penisola» invocato 150 anni fa da Giuseppe Ferrari. Alla fine la verità unisce i fratelli d’Italia. Non la menzogna.
Resta il rimpianto che, se gesti storici come questo fossero arrivati prima, ci saremmo forse risparmiati intorno al Risorgimento tante ostilità, tante spaccature, tanti conflitti che certo si sono rivelati tutt’altro che «mali passeggeri».
Racconta ancora Aprile, che a Cisterna d’Asti, allorché riferì degli avvenimenti crudi di Pontelandolfo, Casalduni, Vieste, Gioia del Colle ecc., un signore, volle intervenire per affermare il proposito di noleggiare un pullman. Egli intendeva organizzare un tour in questi paesi allo scopo di chiedere loro perdono per la ferocia inflitta. Dichiarò di essere colpevole non materiale (per ovvie ragioni), ma di sentirsi parimenti in difetto e desideroso di esser “perdonato per non aver saputo”.
A proposito di “fratelli d’Italia”, l’oratore rivela che il noto inno pare non sia di Mameli. Secondo Aldo Alessandro Mola, docente emerito di Scienze Politiche alla Statale di Milano, autore di biografie e numerosi saggi storici, Goffredo Mameli ha semplicemente plagiato (rubato) uno scritto di Padre Atanasio Canata (intellettuale giobertiano di notevole spessore) e si è costruito immeritatamente, uno spazio nella storia del così detto “risorgimento” italiano. Scrisse questa sua considerazione in una Biografia di Giosuè Carducci.
La chicca non poteva che decorare la storia di uno stato non nazione, nato da truffe, tradimenti e falsità. L’adozione, peraltro del tutto “informale”, cade su di un inno che è una autentico plagio.
In chiusura alcuni interventi dei partecipanti volti a chiedere conto della incipiente voglia di divulgare il nuovo sapere storico e abbattere le imposizioni toponomastiche che nelle città ricordano i carnefici e dimenticano le vittime. Cancellare la memoria del vinto (dice Pino) è una delle strategie più in voga fra i vincitori per mettere lo sconfitto (e le generazioni future) nella condizione dell’attonito (di colui che resta senza parole). La condizione dell’oppresso muta epigeneticamente in genetica e si trasmette per 3 o 4 generazioni. La psicoanalisi dell’italia del sud ci porta a dedurre che i comportamenti acquisiti ci hanno resi succubi, impotenti, incapaci a mutare degli eventi. Se non fosse così mai avremmo accettato un paese a due velocità dove al sud le infrastrutture, la viabilità, e gli stanziamenti di fondi ci etichettano ancora come cittadini di una serie inferiore.
Una soluzione per liberarci c’è, ed è l’unica nota: SAPERE!