Un fenomeno in crescita negli ultimi decenni è la ipergenitorialità nei confronti dei bambini, in cui l’intento, da parte dei genitori è quello di “creare” il figlio perfetto, pronto a poter affrontare la vita con tutte le competenze possibili ed immaginabili. Così, osserviamo sempre di più genitori che tendono a far seguire ai loro figli il maggior numero di corsi di studio supplementari, piuttosto che di corsi sull’acquisizione di competenze sportive in cui il primo obiettivo è l’agonismo anziché il mero divertimento. Vediamo bambini iper impegnati in tutti i loro pomeriggi tra compiti, corsi d’inglese, palestre, calcetto o danza, corso di arte creativa, corso di musica e quant’altro. Non che le summenzionate attività non siano educative e formative, anzi che ben vengano, ma è opportuno da parte dell’adulto comprendere quali siano le giuste misure, affinché il bambno possa farle veramente proprie. Spesso il genitore tende a pensare che determinate attività siano quasi obbligatorie per il figlio perché possa sviluppare una potente intelligenza e quindi diventare una persona di successo. È come se nel genitore nascesse una ossessione nel somministrare al figlio più attività possibili nel minor tempo possibile, perché poi ne arriveranno altre ed altre ancora, all’infinito. Figli che devono prepararsi ad affrontare la vita difficile, che fin da piccoli devono prepararsi alla scalata al successo, quindi devono essere più intelligenti e più scaltri degli altri. Questo atteggiamento così pressante nei confronti dei figli rischia di sortire l’effetto contrario, ovvero il bambino apprende uno stile di vita stressante, in cui la performance è il motore che guida tutta la sua vita. Così facendo, si seminano nella personalità del bambino più un senso di insicurezza e di paura per le vicissitudini della vita piuttosto che reali competenze.
Attenzione, il bambino può e deve fare tante esperienze, ma spalmate nel tempo, poiché il suo tempo deve essere vissuto con serenità. Il tempo del bambino è quello del gioco, anche individuale. Quest’ultimo viene utilizzato dal bambino per elaborare le esperienze che va vivendo con gli altri, tramite i personaggi di fantasia che si crea con i suoi giocattoli più semplici, quali bambole o pupazzetti. Il bambino ha bisogno di viversi i suoi spazi personali fatti di piccole cose piuttosto che il suo gioco spontaneo con i suoi coetanei, anche basato sulla “stupidità”. Il bambino non ha bisogno di sentirsi “vincente e performante”, questo è un bisogno dell’adulto, il bambino ha bisogno di sentirsi pieno, ma di giochi, di attività e di relazioni semplici, di rapporti veri e sinceri. Per imparare a sentirsi sicuro di sé, un bambino non può essere marcato troppo stretto dalla vita. Se il messaggio che facciamo vivere ai bambini è quello di farli sentire costantemente in un campo di addestramento, pensate che sviluppino una sana concezione di sé e del mondo? Tanti adulti di successo, indirizzati fin da piccoli verso la dimensione della perfezione, dichiarano di sentire dentro di sé un profondo senso di inadeguatezza e di incompletezza. Allora, nell’educazione dei nostri figli, proviamo a metterci veramente nei loro panni, mettendo da parte le nostre ansie da prestazione, magari imparando dai bambini a riscoprire la piacevolezza della semplicità.
Fabio Settipani
Psicologo – Psicoterapeuta