Mia figlia Elena, la piccola, 17 anni, da giorni straparlava in casa della manifestazione, credo al secondo anno, che si sarebbe tenuta nell’ultimo fine settimana di agosto ad Alcamo al Nannini, raccontando di quanto sarebbe stata coinvolgente e piena di spunti interessanti. Forse per la prima volta l’ho sentita davvero credere nella realizzazione di un progetto concreto, lei di cui ho molta stima, ma che come tutti i ragazzi in genere si perde nelle questioni di principio e nelle discussioni astratte. Invece stavolta fa qualcosa di positivo, è aggregata ad un gruppo di ragazzi più grandi, soprattutto universitari, che si stanno dando da fare per contribuire al fermento culturale e morale nella altrimenti anestetica atmosfera locale. Una manifestazione chiamata Alcart, una parola che richiama più il nome di una di quelle carte cittadine inventate per estorcere un po’ di denaro in cambio di più o meno risibili sconti in vari esercizi commerciali in città (quando la esibisci alla cassiera della pizzeria il sabato sera puntualmente si scopre che proprio il sabato non vale, inutile che tu protesti che altrimenti non saresti andato a cena lì e che non andrai più, il 15% di sconto ti mostra da una tabella che tira fuori con destrezza dal cassetto, è previsto dal lunedì al giovedì. Ti avvii verso l’uscita deluso, notando appena sulla porta che “questo esercizio resterà chiuso il martedì” pensando che non rimane che tornare il giovedì con il gruppo del calcetto dopo la partita. Per scoprire poi al giovedì che comunque lo sconto è personale, non vale per tutto il tavolo e il risparmio netto non raggiunge i 2 euro, cosicché dovresti convincere gli amici ad andare per più di venti volte a cena lì per recuperare il costo della carta – l’intera stagione invernale di calcetto! – mentre il ristoratore ha già ottenuto due tavolate di clienti non previste e i venditori della carta i 40 euro iniziali …) Scusate, divago. Torniamo a noi.
Avevamo promesso che saremmo andati, io e mia moglie. Poi un impegno e l’altro, gli inviti a cena degli amici che si susseguono in questi ultimi giorni di agosto, segno che si sente al termine l’estate e l’urgenza di divertirsi come se tutto debba finire con l’arrivo di settembre (sono le stesse persone che frequentiamo regolarmente per tutto l’anno), non ci avevano permesso di dare un’occhiata nelle giornate precedenti. Finalmente domenica, l’ultimo giorno di Alcart, ci siamo imposti di andare a vedere cosa combinano i nostri ragazzi e cosa riescano a mettere su di interessante. Ci siamo trovati dentro un giardino pieno di colori e di angoli diversi la cui atmosfera risultava quasi magica, talmente si respirava l’attenzione e la buona qualità delle idee e delle intenzioni che ne aveva adornato ogni sua parte. Mia figlia saltellava orgogliosa davanti a noi presentandoci gli organizzatori, mostrandoci gli stand per poi allontanarsi per aiutare a sistemare delle sedie. Ci siamo addentrati tra gli stand di Amnesty e di Human Right e altre associazioni varie insieme a quelli dei due editori locali Navarra e Di Lorenzo che stuzzicavano gli intelletti più curiosi con le loro pubblicazioni; l’angolo dell’espressione pittorica dedicato alla libera mano di chi arrivava e le mostre pittoriche in due spazi messi a disposizione dal gestore del Nannini che stimolavano la fantasia visiva di noi visitatori, facendoci conoscere tra gli altri il pittore partinicese Gaetano Porcasi le cui opere antimafia mi hanno molto colpito; il percorso di girasoli al centro dei quali erano riprodotte frasi di celebri filosofi o sapienti di varie epoche ancora come esortazione al pensiero, alla meditazione per noi occasionali viandanti, accompagnandoci verso il centro del giardino, luogo deputato agli incontri e ai dibattiti.
Lì dopo alcuni minuti si è tenuta la presentazione di un libro su quanto raccontato da viaggiatrici inglesi sulla Sicilia dell’800, con i loro pregiudizi e le loro curiosità. La dotta conferenza della professoressa di Letteratura inglese dell’Università di Palermo per quanto mantenuta su un tono lieve, ha comunque avuto un sapore cattedratico e poca partecipazione dagli astanti (per lo più suoi emozionati ed adoranti studenti universitari). Di seguito il dibattito-incontro sul tema della serata, già anticipatoci da Elena, sulle Donne Migranti dal titolo “Identità in transito” nel corso del quale una deliziosa etiope, Abraha Yodit, psicologa e mediatrice culturale che lavora a Palermo, ha parlato della propria difficoltà di emigrante di seconda generazione, e poi i racconti terribili di ribellione alle violenze subite da due ragazze tunisine che vivono ad Alcamo, che sono stati i momenti più intensi (senza per questo voler far torto agli altri interessanti relatori). La serata sarebbe continuata con un concerto dopo una pausa per mangiare in loco, ma lì abbiamo lasciato definitivamente campo ai ragazzi ed Elena che stavano sistemando tavoli e sedie per assistere allo spettacolo.
Erano quasi le 10 di sera mentre tornavamo verso l’uscita, con la sensazione di stare bene, di essere stati coinvolti in qualcosa di vero, di pulito, contenti che Elena fosse parte di un gruppo così positivo. Più di ciò che era stato detto, valevano per noi le belle facce dei ragazzi, e l’atmosfera che irradiava quel posto. Un atmosfera che prima ho definito quasi magica, e il quasi è dovuto al numero non elevatissimo di ragazzi presenti che avrebbero potuto affollare di più il giardino, bivaccando negli angoli per tutte e quattro le giornate di Alcart. Le idee e i propositi sono ottimi, ora per la prossima edizione bisogna lavorare sulla maggiore partecipazione, anche mantenendo la stessa struttura. Forse si potrebbero spostare le giornate alla seconda metà di settembre, quando gli abitudinari alcamesi saranno tornati in città. Oppure pubblicizzare di più l’evento, anche su Alqamah con reportage e foto dal Nannini ogni sera, senza troppi controproducenti imbarazzi.
Andavamo via e riflettevo su quanto noi “maschi adulti” non dovremmo mai smettere di migliorarci ed essere aperti ad apprendere da altri modi di pensare che siano provenienti da altre culture, dalle donne o dai ragazzi, mentre i miei occhi si sono posati sul centro di uno dei girasoli dove ho trovato conferma nella frase: “solo i colti amano imparare, gli ignoranti preferiscono insegnare”. E la nostra società purtroppo sembra piena di troppi presuntuosi ignoranti.