“Senza il codice antimafia i sequestri non bastano”

L’appello di Don Ciotti: servono nuovi strumenti contro i boss

di Giacomo Galeazzi

Dalle ville e dalle aziende dei boss nascono scuole e cooperative di giovani», dice don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera.  «I beni sequestrati alle mafie sono una risorsa per la collettività. Oltre a ricavi e occupazione, generano una crescita morale della società», precisa con ottimismo don Luigi, un uomo che a 72 anni non si stanca di restare fedele a un obiettivo rivendicato più volte: «Sono felice di dedicare la mia vita a saldare la terra con il cielo».

Don Ciotti, davvero i beni sequestrati alla criminalità sono una risorsa per il Paese?

«Sì, i fatti lo dimostrano. Laddove il bene confiscato è stato trasformato da bene esclusivo in bene condiviso, si è verificato un riscatto sociale, culturale ed economico dei territori. Riportare alla comunità degli onesti un bene usurpato dalle mafie, significa saldare il piano del contrasto istituzionale con quello sociale delle politiche educative e del lavoro. Non lo dico io, lo diceva Giovanni Falcone».

Da che cosa dipende l’elevato numero di confische che non vanno a buon fine?

«E’ troppo complessa la gestione delle fasi del sequestro e della confisca. Perciò è importante approvare con urgenza il nuovo codice antimafia, che prevede proprio misure per arrivare prima possibile alla confisca definitiva del bene. E l’estensione della confisca ai reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione. La commistione tra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica è a livelli tali che solo con nuovi strumenti possiamo colpire l’intreccio tra mafie e corruzione».

 Libera è, come dice qualcuno, una holding dei beni confiscati?

«Naturalmente non lo è. Chi lo dice lo fa per malafede o ignoranza. I beni sono e restano di proprietà pubblica. Il numero di quelli gestiti da Libera si conta sulle dita di una mano, per il resto Libera svolge un’opera di promozione, accompagnamento e sostegno di 650 associazioni, gruppi, cooperative e parrocchie».

 Quali sono i beni recuperati con maggior soddisfazione?

«Ogni bene confiscato e riportato alla vita, al bene comune, nasconde una piccola grande storia di riscatto, di speranza, di civiltà. Certo è che quando vedi la villa del boss, con tutti i suoi sfarzosi accessori di pessimo gusto, restituita a un’essenzialità e trasformata in una scuola, o una cooperativa di giovani che affondano le mani in una terra bonificata dal lavoro onesto o ancora un’azienda restituita alla dignità dei suoi operai, ti batte forte il cuore e pensi che la mafia e la corruzione sono mali da cui ci potremo liberare. Il movimento coordinato da Libera da 22 anni s’impegna per la dignità e la libertà delle persone. È una responsabilità che sentiamo in modo particole. Siamo stati i primi a sollecitare con la raccolta nel 1996 di un milione di firme l’approvazione della legge».

 Come si migliora l’efficienza?

«Una delle condizioni per una gestione più efficiente dei beni è il rafforzamento della capacità amministrativa dell’Agenzia nazionale e, insieme, del ruolo di supporto delle Prefetture, che sono da sempre il soggetto istituzionale di riferimento per la risoluzione dei problemi territoriali. Come va detto che una buona gestione dei beni implica, a livello più generale, misure sociali e politiche più incisive. Un bene può essere anche ben gestito, ma se il contesto non offre sufficienti opportunità di formazione, di cultura, di lavoro, la buona gestione rischia di rivelarsi sterile».

 Con quali competenze?

«Diverse e tutte fondamentali. Sotto il profilo giuridico, c’è il punto delle procedure amministrative, della gestione patrimoniale e produttiva. Determinante è la qualità della progettazione, la capacità di legare il potenziale sviluppo del bene confiscato ai bisogni del territorio. La sfida nasce tutta da qui».

fonte La Stampa

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