Trapani, la città che non ama ricordare

Anche il 22° anniversario del delitto di Giuseppe Montalto è stato coperto dalla frenesia natalizia

Giuseppe Montalto aveva 31 anni quando fu ucciso 22 anni addietro. Era marito e padre già di una bambina. Quando la mafia lo ammazzò né lui né la moglie sapevano ancora della seconda figlia in arrivo. Era un agente della polizia penitenziaria. Cominciò a lavorare a Torino poi fu trasferito a Palermo e destinato nel braccio carcerario del 41 bis. All’epoca in quelle celle c’erano reclusi i boss più pericolosi e spietati di Cosa nostra, da Pippo Calò, che con un solo battito delle mani dava gli ordini a Nino Madonia, dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano a Mariano Agate, e poi ancora altri come Raffaele Ganci e Nitto Santapaola. Giuseppe Montalto fu ucciso l’antivigilia del Natale del 1995, il 23 dicembre, davanti gli occhi della moglie. Stava salendo in auto dove lo aspettavano la sua compagna di vita Liliana Riccobene e seduta sul seggiolino posto sul sedile posteriore la piccolissima Federica. A ucciderlo fu il killer più fidato di Cosa nostra trapanese, Vito Mazzara, senza volto è rimasto il secondo sicario, il sospetto, rimasto tale, degli investigatori fu quello che si poteva trattare di Franco Orlando, un uomo d’onore riservato, per questo fu condannato, e che all’epoca sedeva sui banchi del Consiglio comunale di Trapani, in quelli occupati dai consiglieri del suo partito, il Psi. La mafia segnò inesorabilmente e per sempre le festività natalizie della famiglia di Giuseppe Montalto. E lo fece perché l’ordine era quello di “far passare un Natale allegro ai detenuti del 41 bis”. Sono trascorsi 22 anni e a ricordare Giuseppe Montalto con il trascorrere degli anni sono state sempre meno persone, come se quel morto ammazzato appartenga solo ai familiari che ne piangono ancora la morte. E invece la morte di Giuseppe Montalto appartiene alla memoria delle istituzioni che lui serviva con la divisa di agente della polizia penitenziaria. E appartiene ad una città che proprio malgrado custodisce quei traditori che aiutarono la mafia a compiere quel delitto. Oggi Trapani ha continuato a non voler ricordare e fa specie che questo accada nel momento in cui a guidare la città è un ex procuratore della Repubblica, il dott. Francesco Messineo, che ne è commissario straordinario. E a guidare l’ex provincia regionale è un altro magistrato, Raimondo Cerami. Messineo e Cerami hanno ben conosciuto l’essenza malefica di Cosa nostra, la capacità della mafia di inquinare il territorio e di trasformarsi in mafia borghese. Immaginavamo che con loro il ricordo di Peppe Montalto potesse conoscere momenti più alti, un ricordo che meritava che per un attimo tutti i trapanesi mettessero da parte la frenesia natalizia, come da 22 anni fanno i familiari dell’agente ucciso, per occuparsi assieme alla moglie, alle figlie, ai fratelli di Montalto, della memoria rivolta a chi ha pagato con la vita la dedizione alle Istituzioni. Ma niente. Messineo ha fatto sapere che per altri impegni non avrebbe potuto partecipare al ricordo di Montalto organizzato all’interno del carcere di Trapani. Del dott. Cerami nessuna notizia, può darsi che chi ha organizzato non l’ha invitato, ma pensiamo che in occasioni del genere non c’è bisogno di invito formale, ma solo di ricordarsi. Troppi, tanti assenti continuano a segnare l’anniversario di Giuseppe Montalto. Dobbiamo pure aspettarci che ciò avvenga, nelle istituzioni siedono i politici, e sappiamo bene che tra i politici c’è chi continua a coltivare tentazioni per annacquare il 41 bis. Montalto fu ucciso proprio per indurre lo Stato ad abbassare le mura del 41 bis. E tra i politici c’è chi per i boss di ieri che sono gli stessi di oggi, a cominciare dal latitante Matteo Messina Denaro, continua a rappresentare punto di riferimento. La trattativa tra lo Stato e la mafia non è qualcosa di unico ed eccezionale, ma un qualcosa che è sempre esistita. Montalto fu ucciso il 23 dicembre del 1995 per indurre lo Stato a trattare, ad abbassare la guardia. E forse qualcosa verso questa direzione accadde, senza bisogno di cambiare le norme. E’ da quel 1995 che a Trapani la mafia non spara più. Liliana Riccobene ricordando ancora una volta il sacrificio del proprio marito non è comunque rimasta sola, i colleghi del marito, anche quelli che non l’hanno conosciuto, le sono state vicine, c’era Libera con il suo pugno di volontari, le parole sono state accompagnate da una musica apposta scritta dal maestro Toscano per Montalto, c’è stato il dono di una artista, Nadia Brucia, che ha creato un busto collocato nell’atrio del carcere a poca distanza dalle celle dei mafiosi, soci e compari di chi decretò la morte dell’agente. Ma pensiamo che non è giusto che deve continuare ad essere così. Quando Montalto fu ucciso la mafia sedeva in Consiglio comunale, a Trapani c’era un tavolino dove si decidevano i destini di tutti i trapanesi, c’era la massoneria che imperava. C’era il clima giusto per un delitto eccellente da far dimenticare in fretta. Così come per la verità era già accaduto per altri delitti, quello del pm Ciaccio Montalto, del giornalista Rostagno, o per la strage di Pizzolungo, o ancora per l’omicidio del giudice Giacomelli. Abbiamo scritto c’era, o forse dovremmo scrivere al presente.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.