PALERMO. Ventidue anni fa l’uccisione a San Giuseppe Jato del Piccolo Giuseppe Di Matteo. Un pagina terribile della storia siciliana. Di Matteo venne ucciso dopo 779 di prigionia, l’11 gennaio 1996, strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Lo stesso Brusca, nel libro Ho ucciso Giovanni Falcone di Saverio Lodato, dichiarò di essere il responsabile dell’omicidio: “Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato”.
Oggi il padre Santino Di Matteo, collaboratore di Giustizia, fa causa allo Stato e presenta ricorso al TAR contro l’esclusione dal programma di protezione: “Lo Stato non mi protegge più, – dichiara Santino Di Matteo nell’edizione di oggi de La Repubblica – Mi accusano di essere tornato a delinquere. Sì, è vero, nel 1996 sono tornato in Sicilia per cercare mio figlio. Chi sarebbe rimasto a casa ad aspettare?”.
La disperazione di un padre che si è affidato allo Stato e che oggi si sente dimenticato e tradito.
Giuseppe Di Matteo fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, all’età di soli 13 anni, a Piana degli albanesi da un gruppo di mafiosi su ordine di Giovanni Brusca. Giuseppe, giovanissimo appassionato di cavalli, si trovava nel maneggio, e da lì fu portato via. Senza mai più far ritorno. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, che prese parte al rapimento, i sequestratori si travestirono da poliziotti della DIA ingannando facilmente il bambino, che credeva di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia.
Il suo rapimento fu ordinato per “tappare la bocca” al padre che aveva iniziato a collaborare con la giustizia, rivelando utili dettagli sulla strage di Capaci e sull’uccisione di Ignazio Salvo.
Così, dopo un iniziale cedimento, Santino Di Matteo cercò il figlio con Gioacchino La Barbera e Balduccio Di Maggio, anche loro nel frattempo diventati collaboratori di giustizia. Ma invano.
Per il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo furono condannati all’ergastolo circa 100 mafiosi, tra questi Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca, Giuseppe Monticciolo, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Biagio Montalbano, Gaspare Spatuzza, l’alcamese Vito Coraci e i castellammaresi Michele Mercadante e Agostino Lentini.
Il piccolo Di Matteo in quei 779 giorni fu trasferito in diversi nascondigli in giro per la Sicilia, tra questi c’è anche un angusto vano bagno di una casa di Castellammare del Golfo. Secondo i giudici la casa venne messa a disposizione dal castellammarese Agostino Lentini e a sorvegliare il piccolo andava anche Michele Mercadante.