Trattativa Stato-mafia, l’addio del pm Nino Di Matteo: “Avvertito isolamento. Ma agito esclusivamente per cercare la verità”

PALERMO. Durante l’ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia di venerdì 26 gennaio, i pm della Procura di Palermo hanno chiesto le condanne per gli imputati. Prima della lettura delle richieste da parte del pm Vittorio Teresi, il pm Nino Di Matteo, a termine della requisitoria, ha chiesto altri due minuti per poter concludere. Parole di profondo orgoglio quelle di Di Matteo, ma anche di delusione per il “profondo isolamento” avvertito in questi anni. Isolamento certamente non da parte dalla società civile, da sempre schierata al suo fianco e dell’intero “pool” che ha indagato sulla trattativa “Stato-mafia”.

Dopo circa 4 anni e 8 mesi di dibattimento, 210 udienze, il pm Nino Di Matteo si è congedato, in attesa della sentenza che arriverà probabilmente entro pasqua, con queste parole:

Noi siamo arrivati al temine di questa requisitoria. Personalmente, ma lo stesso vale per il collega Del Bene, la nostra applicazione al processo cessa con l’udienza di oggi. Personalmente, diciamo, e anche quest’ultima udienza, di un impegno in due procure distrettuali particolarmente esposte come Caltanissetta e Palermo, durato 25 anni.

Questo processo, che ho seguito fin dall’inizio, dalle indagini preliminari con il collega Ingroia, si è portato dietro, ed è destinato a portarsi dietro, una scia infinita di veleni e di polemiche. Man mano che andavo avanti, già nella fase delle investigazioni, ho iniziato ad avere contezza del costo che avrei pagato per questo processo e credo di non essermi sbagliato.

Hanno più volte affermato, fino a pochi giorni fa, che l’azione di noi Pubblici Ministeri è stata caratterizzata perfino da finalità eversive, nessuno ha reagito, nessuno ci ha difesi rispetto ad accuse così gravi. Ma noi lo avevamo messo nel conto, perché così avviene in quei casi, ahimè sempre meno frequenti, in cui l’accertamento giudiziario non si limita alla ricostruzione minimalista degli aspetti criminali più ordinari, ma si rivolge alla individuazione di profili più alti e di causali più complesse. Quelle che come in questo processo corrono parallele non ad un singolo fatto criminoso, ma ad una vera e propria strategia. Nel nostro caso quella strategia stragista con la quale Cosa Nostra ricattò lo Stato con la complicità di uomini dello Stato.

Siamo veramente onorati di avere avuto l’occasione di confrontarci con la eccezionale, serena e profonda autorevolezza di questa Corte di Assise. Noi abbiamo una sola interiore consapevolezza che ci fa vivere con umiltà, ma anche con un orgoglio che nessuno ci potrà togliere, un sentimento, quello di aver sempre agito esclusivamente per cercare la verità nel rispetto della legge rifuggendo da ogni calcolo di convenienza o opportunità. Ma in ogni momento, anche quelli più difficili, nei quali abbiamo avvertito una sensazione di profondo isolamento, senza paura, con la serena determinazione di chi sa che prestando obbedienza ai principi della nostra Costituzione ed in primo luogo a quello di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, sta semplicemente compiendo il suo dovere di magistrato”.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.