Sequestro da 500 mila euro a carico dei familiari del defunto padrino di Mazara “don” Mariano Agate
Un sequestro di beni per mezzo milione di euro è stato disposto dal Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani su proposta della Dia di Trapani. Ad essere colpiti gli eredi, i familiari, del defunto capo mafia di Mazara, “don” Mariano Agate. Uomo chiave della mafia trapanese e siciliana, in strettissimi rapporti con i capi mafia Totò Riina e Francesco Messina Denaro, il padrino del Belice, i collaboratori di giustizia di lui hanno detto che se fosse stato libero, dopo l’arresto dei capi mafia Riina e Provenzano, lui sarebbe stato certamente capo della Cupola siciliana. Il suo soprannome era “papetto”, il “piccolo papa…della mafia” per quel essere stato appena un passo indietro di Totò Riina che nella latitanza scelse Mazara come rifugio sicuro. Circolava con una carta d’identità messagli a disposizione da un cugino di Mariano Agate. A Mariano Agate poi vengono ricondotti gli intrecci tra mafia e massoneria, il suo nome verrà scoperto nel 1986 tra gli iscritti alla loggia massonica coperta Iside 2 di Trapani. Con il gran maestro Giuseppe Mandalari, noto per essere stato anche il commercialista di fiducia di Totò Riina, qualche anno prima aveva fondato a Mazara una società commerciale a Mazara, la “Stella d’Oriente” che serviva per riciclare denaro sporco di Cosa nostra. Il nome di Agate figura tra i condannati per la strage di Capaci e per altri delitti a cominciare dal quello del pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Trapani il 25 gennaio 1983. Agate allora in cella, girando per i corridoi del carcere preannunciò quel delitto dicendo “Ciaccinu arrivau a stazione”, Ciaccio è arrivato al capolinea. Mariano Agate risulta essere stato uomo nevralgico per tanti traffici illeciti, da quelli dei tabacchi a quelli della droga, dal carcere nei primi anni del 2000 riuscì ad organizzare un maxi traffico di cocaina tra la Colombia e la Calabria, facendo stringere a Cosa nostra una alleanza con le cosche calabresi di Platì. Le stesse cosche oggi sospettate di avere aiutato nella latitanza il capo di Cosa nostra trapanese Matteo Messina Denaro. Il provvedimento di sequestro odierno è stato emesso in virtù della norma del codice antimafia che consente di sequestrare i patrimoni illecitamente accumulati dai mafiosi anche dopo la loro morte. Ad essere colpiti dal sequestro la vedova del boss, Rosa Pace, 79 anni, ed i figli, Vita, Epifanio e Pier Paolo. Tra i beni sequestrati c’è una villetta in un villaggio turistico, Kartibubbo a Campobello di Mazara, già in gran parte confiscato all’imprenditore palermitano Calcedonio Di Giovanni. La villetta all’epoca della costruzione della struttura venne regalata dapprima al faccendiere palermitano Vito Roberto Palazzolo, questi poi ha raccontato ai magistrati palermitani, dopo il suo arresto seguito all’estradizione dal Sudafrica, dove per decenni si era rifugiato (sfuggendo all’arresto chiesto anche dal giudice Falcone) che gli vennero a richiedere le chiavi della villetta perché doveva essere donata al padrino di Mazara, Mariano Agate che aveva fatto da intermediario per la costruzione della struttura ricettiva. Sequestrata anche una abitazione acquistata dalla figlia di Agate, provento dei guadagni presso l’azienda di calcestruzzo di proprietà del padre e dello zio, Giovan Battista Agate. La donna è risultata essere stata in diversi periodi a cominciare dal 1993 e fino al 2006, dipendente (come il fratello Epifanio) con uno stipendio mensile tra i 5 mila e gli 8 mila euro. Altrettanto in maniera lucrosa stipendiato sarebbe stato anche Epifanio, soggetto spesso citato in indagini antimafia e sul traffico internazionale di droga. Gli investigatori ritengono che questo era un modo, quello di tenere come dipendenti i due giovani Agate, per svuotare la cassa dell’azienda di famiglia. La donna poi quale amministratore di una società che riforniva l’impresa di calcestruzzi, la Agamar, sarebbe riuscita nel giro di pochi anni, anche dopo il 2006 e sino al 2016, anche durante il periodo di gestione dell’impresa da parte di un amministratore giudiziario, a introitare oltre 300 mila euro, attraverso anche altri contratti stipulati con altre imprese, per forniture di servizi. L’impresa “Calcestruzzi Mazara” è stata confiscata da qualche tempo, il giorno del sequestro ad opera della Squadra Mobile di Trapani, all’epoca diretta dall’attuale direttore del Servizio Centrale Anticrimine, Giuseppe Linares, comparve una scritta minacciosa e dal chiaro messaggio sotto un cavalcavia dell’autostrada Palermo Trapani, nei pressi dello svincolo per Fulgatore: “più Capaci meno Linares”