Paolo Borrometi e il suo libro “Un morto ogni tanto” . L’Amministrazione alcamese annuncia per lui la cittadinanza onoraria. GUARDA L’INTERVISTA
Alcamo ha accolto con favore la presentazione del libro di Paolo Borrometi “Un morto ogni tanto”, e alla fine la Consigliera Comunale 5 Stelle, Giovanna Melodia, ha dato notizia che al giornalista-scrittore sarà assegnata la Cittadinanza Onoraria.
Cittadinanza che più giusta non si può, per un giornalista che “per senso del dovere” indaga e scrive mettendo alla luce fatti e persone che vorrebbero rimanere nell’oscurità, per portare avanti quel progetto di morte che è la mafia.
Le parole di Borrometi, che hanno colpito tutti i presenti, per un verso drammatici e invece dall’altro pieni di una forza enorme e di una concretezza ammirevole, di sicuro possono esser annoverate tra quelle che resteranno nella storia della lotta alla mafia e della cultura antimafia.
Non le solite discussioni da salotti buoni dell’antimafia, ma vita vissuta e esempi concreti di un mondo reale che può essere migliorato solo con azioni concrete, senza essere eroi, ma facendo il proprio lavoro con onestà e ispirati dalla giustizia.
Si potrebbe parlare del giornalista, e non si potrebbe dire che bene ed esprimere solidarietà, perché non si può far altro che stare vicino a chi, come Borrometi, col proprio lavoro porta alla luce misfatti che rovinano la convivenza civile. Poi si potrebbe parlare dello scrittore dalla penna fine e tagliente, ma forse è più giusto parlare anche dell’uomo Borrometi, quello meno pubblicizzato, erroneamente, e proprio di questo aspetto invece parleremo, della sua gentilezza ed educazione, dei modi teneri e degli occhi di chi ha vissuto non solo cose brutte, ma passioni importanti, come quella per il giornalismo. Un uomo con le proprie, giuste, umane “debolezze di cuore”, messe in evidenza dalla commozione e anche dall’emozione evidente quando un ragazzo e una ragazza sono stati chiamati a leggere qualche passo del suo libro, il primo gli ha ricordato gli eventi negativi dell’aggressione, che gli ha lasciato dei segni indelebili e non solo fisici, la seconda parole di azione e commozione. Un altro esempio dell’umanità del giornalista è stato quando ha ringraziato le Forze dell’Ordine che ogni giorno difendono i cittadini, non solo quando c’è qualche grande operazione, ma anche nell’espletamento del proprio dovere giornaliero di azioni per la sicurezza delle città, Borrometi lo ha fatto con voce decisa e piena di evidente affetto.
Ritornando al Borrometi giornalista ha espresso chiaramente la sua “fonte ispiratrice”, cioé Giovanni Spampinato, giornalista ucciso dalla mafia nel 1972 ad appena 27 anni. Borrometi ha utilizzato parole di encomio e affetto verso un giornalista o meglio un uomo, non aveva il tesserino di giornalista, che “in completa solitudine raccontava un territorio, il più ricco della Sicilia, la provincia di Ragusa ha un numero elevato di sportelli bancari, in percentuale più di Palermo e più di Milano, e Spampinato lo raccontava da solo fra i sorrisini di alcuni colleghi e di alcuni cittadini che dicevano questo cosa pensa di essere, cosa vuole. Giovanni era mosso semplicemente dalla voglia di raccontare che non ci sono intoccabili nei territori” e inoltre la sua storia fa capire che “fare i nomi e cognomi era fondamentale” e inoltre Borrometi ha detto che grazie a Spampinato fa il giornalista, mettendo ancora una volta in evidenza l’importanza di questa figura nella sua vita lavorativa. Infine ha chiesto di “adottare” simbolicamente lui e la sua storia, “combatteva per il futuro della sua terra, la nostra terra, dannata, ma meravigliosa”. Borrometi ha inoltre ricordato il giornalista italiano Antonio Megalizzi, rimasto ucciso nell’attentato di Strasburgo lo scorso 11 dicembre.
Un’azione culturale quella del giornalista che riguarda anche le parole, infatti ha esortato a riappropriarsi di certe parole, come “Cosa nostra” fatte proprie dalla mafia, “ma quale cosa nostra – ha affermato Borrometi – è nostra dei cittadini non loro, ci dobbiamo riappropriare del significato di alcune parole, quando li definiamo uomini d’onore, ma quale onore possono avere persone che hanno sciolto nell’acido un bimbo che si chiamava Giuseppe Di Matteo? Stiamo attenti alla narrazione che facciamo”.
Una lotta culturale che deve far cambiare mentalità di color che vedono come pericolosi cittadini che fanno il proprio dovere. Per spiegare meglio ciò Borrometi ha fatto, tra gli altri esempi, quello di una signora che ha portato via i figli da scuola perché era stata organizzata una manifestazione, dove era presente lui e la signora ha rimproverato chi ha organizzato dicendo loro: “com’è possibile che organizzate una manifestazione con una persona così pericolosa”.
Infine ci piace concludere con le parole di Borrometi sul cambiamento e l’importanza di raccontare: “Nonostante tutto non ho mai smesso di raccontare. Il giornalista ha un dovere fondamentale: raccontare i fatti. Perché un Paese può cambiare solo se è informato. Il cambiamento che passa attraverso la cultura e l’informazione. Io ho fatto solo il mio dovere”.