Una strage dimenticata

Era il 28 dicembre 1999, un rogo all’interno del centro di trattenimento Vulpitta causò sei vittime. Oggi l’immigrazione e la sua gestione coincide con un periodo buio

Riceviamo e pubblichiamo un documento del Coordinamento per la Pace di Trapani

L’anniversario della strage del Centro di Permanenza Temporanea “Serraino Vulpitta” cade in uno dei periodi più bui nella storia di questo paese. Il progressivo attacco ai diritti umani e alle libertà civili, portato avanti da vent’anni senza sostanziali differenze da governi di ogni colore, sta raggiungendo il suo apice grazie all’esecutivo guidato da Lega e Movimento Cinque Stelle.
Il cosiddetto “decreto sicurezza”, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, è un formidabile strumento repressivo che colpisce in primo luogo gli immigrati ma che non risparmia, più in generale, tutti i soggetti vulnerabili che – secondo questa logica abietta -vengono criminalizzati proprio per la loro marginalità.

Per quanto riguarda l’immigrazione, a diciannove anni dal rogo del Vulpitta, le cose sono addirittura peggiorate.
Con la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (che consentiva l’accesso al lavoro, al servizio sanitario nazionale, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale) migliaia di persone vedranno andare in pezzi la loro vita e le loro speranze, non potranno uscire dal territorio nazionale ma non potranno neanche restarvi in maniera regolare.

 I Centri per il Rimpatrio (CPR) costituiscono la lugubre riproposizione di quelli che furono i CPT (Centri di Permanenza Temporanea) e i CIE (Centri d’Identificazione ed Espulsione), strutture che ben conosciamo e la cui natura concentrazionaria viene rilanciata dal governo “giallo-verde” con l’allungamento fino a 180 giorni del periodo di detenzione: sei mesi dietro le sbarre per la sola colpa di essere immigrati, di non essere europei e di non avere i documenti. A Trapani – dalle parti di Milo – ci si prepara all’ennesimo cambio di denominazione del CPT-CIE-Hotspot-CPR, alla faccia dei bei discorsi sulla “città dell’accoglienza”: il bando di gara per la nuova gestione del vecchio lager trapanese è già stato pubblicato.

Il drastico ridimensionamento del sistema Sprar (che verrà riservato solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati) espellerà dal circuito dell’accoglienza un numero enorme di persone che si ritroveranno tagliate fuori da ogni opportunità di inclusione.

A dispetto della propaganda del governo, dunque, questo decreto produrrà solo e soltanto insicurezza.
Ancora una volta, infatti, le norme in materia di immigrazione sono orientate all’esclusione e alla marginalizzazione.
Limitare e restringere il ventaglio dei diritti significa aumentare l’irregolarità e la precarietà.
Come in ogni approccio proibizionistico, l’effetto di questo decreto sarà l’esatto contrario della tanto sbandierata sicurezza: da questo momento, infatti, molte più persone saranno costrette a vivere nella clandestinità, nella paura, senza tutele, senza diritti, sotto il ricatto del bisogno. Una vera bomba sociale innescata dal governo che, in questo modo, prepara il terreno per ulteriori persecuzioni.
È bene chiarire che l’oggettivo peggioramento della situazione non presenta elementi di significativa discontinuità rispetto al passato perché si colloca sulla stessa scia dell’azione del precedente governo targato PD. Non furono casuali, in tal senso, gli apprezzamenti che Salvini riservò, appena insediatosi al Viminale, al suo predecessore Marco Minniti.

Come abbiamo sempre sostenuto, la gestione repressiva dell’immigrazione rappresenta un terreno di sperimentazione per la compressione dei diritti e della libertà di tutti. È questo che bisogna capire: la guerra agli immigrati è, in realtà, una guerra scatenata contro tutti i cittadini, specialmente i più poveri. In questo decreto sono presenti, infatti, delle norme che inaspriscono le sanzioni per pratiche come il blocco stradale (che diventa reato penale) o l’occupazione di edifici (fino a quattro anni di reclusione). È evidente il carattere intimidatorio del provvedimento nei confronti di chi vorrà, ad esempio, mettere in pratica delle semplici azioni dimostrative nell’ambito di una manifestazione o di uno sciopero di lavoratori, così come sono avvisati tutti quelli che, non avendo un tetto sopra la testa, si ritrovano a occupare i tantissimi spazi abbandonati che ci sono nelle nostre città. Anche l’estensione della pistola elettrica (Taser) alle polizie locali delle grandi città va nell’inquietante direzione, già tracciata dai ministri Alfano e Minniti, di uno stato di polizia in cui le forze dell’ordine sono sempre più armate.

Siamo ben consapevoli che la criminalità dell’azione del governo va di pari passo con l’aumentare delle pulsioni antisociali e autoritarie che innervano il paese. Ricorderemo il 2018 per il dilagare delle aggressioni razziste e degli episodi di intolleranza in tutta Italia (Sicilia compresa); per l’attentato terroristico a Macerata del nazista Traini (già candidato con la Lega Nord nel 2017); per la vergognosa vicenda della nave Diciotti attraccata al porto di Trapani con 67 persone tenute in ostaggio; per l’incredibile arresto del sindaco di Riace, colpevole di aver dimostrato con i fatti che è possibile fare accoglienza ricostruendo intere comunità; per l’inaudito accanimento della magistratura nei confronti delle Organizzazioni Non Governative la cui azione umanitaria viene boicottata e criminalizzata con i pretesti più disparati.

Sono tempi difficilissimi, inutile nasconderlo. A maggior ragione, tutte le donne e tutti gli uomini che non si riconoscono nella brutalità di questo presente sono chiamati a resistere e a non rassegnarsi.
Alle bufale bisogna contrapporre la verità dei fatti, al qualunquismo bisogna reagire con la responsabilità, all’odio generato da malafede e ignoranza bisogna contrapporre la solidarietà per far fronte comune contro chi agita paure irrazionali e inesistenti divisioni per esercitare meglio il proprio dominio.
Piuttosto che pensare al futuro, o a tempi migliori di là da venire, è necessario ri-costruire qui e ora – nelle relazioni sociali, in tutti i luoghi e in tutte le occasioni possibili – un tessuto solidale e civile che sappia arginare e depotenziare ogni attacco che viene fatto al buon senso e all’umanità, da qualunque parte provenga.

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