Anomalie, mancanze e “menti raffinatissime”. La regia del depistaggio lungo 26 anni nella relazione dell’Antimafia regionale presieduta da Claudio Fava
PALERMO. Nelle 78 pagine della relazione finale della Commissione regionale Antimafia sul depistaggio di Via D’Amelio si trovano tutti i pezzi del mosaico che ha portato ad anni di processi, indagini e sentenze. Si trovano quelle che sono le “anomalie” emerse nel corso dei diversi processi, le responsabilità politiche, morali che certamente hanno portato ad errori ed omissioni. In merito il Presidente Claudio Fava ha affermato: “Abbiamo pensato che fosse dovere della Commissione non rispondere alle tante domande rimaste inascoltate, ma fare in modo che queste domande arrivassero a destinazione. Il nostro è il tentativo di fotografare i fatti nella loro complessità. Noi ad oggi conosciamo solo contorni, ma non chi si mosse accanto per uccidere e depistare”.
Ma non solo, c’è molto di più nella relazione. Tutto parte dalle tante domande della figlia del giudice, Fiammetta Borsellino. Domande che lei fino ad oggi definisce “inascoltate”. Quesiti legittimi, richieste che puntano dritto al raggiungimento della piana verità sul quelle vicende che hanno insanguinato il nostro Paese. Fa da sfondo lo scenario emerso con la sentenza sulla trattativa Stato-mafia. I fatti sono quelli evidenziati durante l’incontro organizzato alla Feltrinelli di Palermo lo scorso 9 gennaio con Claudio Fava, Fiammetta Borsellino, il Procuratore Roberto Scarpinato e il giornalista Salvo Toscano.
La relazione e le tante domande
Quali sono i quesiti che la famiglia Borsellino chiede da anni ai più alti livelli Istituzionali? Eccole: “Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino? Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pubblici ministeri di Caltanissetta non convocarono mai il dottor Borsellino per ascoltarlo sulla morte del dottor Falcone? Perché i pubblici ministeri di Caltanissetta dell’epoca non ritennero di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco? Che ruolo ebbe l’allora Sisde sul falso pentimento di Vincenzo Scarantino? Che ruolo ebbe l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera? Perché i pp.mm. di Caltanissetta non depositarono nel Borsellino 1 i verbali del confronto fra il presunto pentito Scarantino e i collaboratori di giustizia Cancemi, Di Matteo e La Barbera che lo smascheravano palesemente? Perché i pp.mm. di Caltanissetta – e, successivamente, i giudici – non tennero in considerazione le due ritrattazioni di Scarantino? Perché la dottoressa Ilda Boccassini e altri pubblici ministeri autorizzarono i componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino” a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia? Perché non fu mai redatto un verbale del sopralluogo della polizia assieme a Scarantino nel garage dove sosteneva di aver trasportato la 126 poi trasformata in autobomba? Chi è l’ispiratore dei verbali, con a margine delle annotazioni a penna, consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino prima dei suoi interrogatori? Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione ma ai poliziotti del gruppo “Falcone-Borsellino” diretto da La Barbera? Perché i pubblici ministeri Palma e Petralia annunciarono un tentativo della mafia di inquinare le indagini subito prima dell’intervista televisiva in cui Scarantino ritrattava le proprie accuse?”
La relazione ripercorre tutti i fatti più importanti del Borsellino 1, Borsellino bis, che ha ribaltato le conclusioni del processo di primo grado e ha rivalutato integralmente le dichiarazioni accusatorie di Scarantino e Andriotta, Borsellino ter, Borsellino quater, quest’ultimo processo si basò sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Le ricostruzioni di Spatuzza permisero di revisionare il Borsellino 1 e il Borsellino bis, smentendo radicalmente Scarantino, Andriotta e Candura. Da quelle dichiarazioni viene così svelato quello definito come “il clamoroso depistaggio operato dai collaboratori Scarantino, Candura e Andriotta, i quali dopo un iniziale tentennamento, hanno confessato di aver dichiarato di aver confessato il falso nel corso dei procedimenti denominati Borsellino 1 e Borsellino bis su pressione di alcuni componenti del gruppo investigativo ‘Falcone-Borsellino’”.
Lo scorso 28 settembre 2018 il Gip di Caltanissetta ha disposto il rinvio a giudizio di tre componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino” guidato, all’epoca delle indagini, dal dott. Arnaldo La Barbera (deceduto nel frattempo nel 2002). Si tratta del dirigente della Polizia di Stato Mario Bo, dell’agente Michele Ribaudo e dell’ispettore, oggi in pensione, Fabrizio Mattei. L’accusa per loro è di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Palermo 19 luglio 1992, via D’Amelio
Nel documento elaborato dalla Commissione Regionale Antimafia si mette in risalto come il depistaggio sulla strage che uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, comincia pochi istanti dopo l’esplosione. Un attimo dopo l’esplosione, come ha ricostruito il dott. Gozzo durante le audizioni, “si succedono almeno tre diversi episodi “di un’azione coordinata” destinata a manipolare la scena della strage, a trafugare documenti, a sottrarre prove.”
Gli episodi citati dal magistrato Nico Gozzo sono gli interventi nella casa di campagna di Paolo Borsellino, il suo ufficio alla Procura di Palermo e infine in via D’Amelio, momento in cui è sparita l’agenda rossa. L’anomalia in quest’ultimo caso riguarda la presenza di uomini dei servizi sul luogo dell’attentato pochi minuti dopo. Testimoni affermano che erano presenti uomini in giacca e cravatta subito dopo l’attentato di via D’Amelio. Sulla sparizione dell’agenda rossa non sono emerse novità investigativa al riguardo fino ad oggi e in merito la Commissione scrive che “si registrano molte coincidenze negative sul piano investigativo e processuale: reticenza di taluni testimoni, presenze non giustificabili del servizi di sicurezza sul luogo della strage, incomprensibili omissioni e ingiustificabili ritardi d’indagine.” L’unica cosa certa è che il giudice Paolo Borsellino da quell’agenda non si separava mai.
Il ruolo del Sisde
Altro aspetto approfondito nella relazione è il mancato interrogatorio di Paolo Borsellino nei giorni che seguirono la strage di Capaci. Lui aveva molto da dire eppure nessuno lo interrogò. Un altro punto centrale approfondito è il ruolo del Sisde nelle indagini di Caltanissetta. Su tutti si sottolinea l’assoluta anomalia delle indagini affidate al Sisde da parte della Procura di Caltanissetta, vietata tra l’altro dalla legge ma a cui nessuno si oppose. Anche a Roma i più alti vertici della Polizia di Stato sapevano, ma nessuno sollevò obiezioni. Dalla relazione emerge come “molti seppero e tutti tacquero. Come in quei 57 giorni in cui si ridusse il contributo di Paolo Borsellino a qualche chiacchierata informale a pranzo tra lui e un giovane sostituto applicato a Palermo.”
Altro aspetto è il ruolo di Arnaldo La Barbera. Dalla relazione emerge come La Barbera abbia portato avanti le indagini con “forzature”. Quindi al ruolo “anomalo” del Sisde e di Tinebra si aggiunge la direzione delle indagini di La Barbera, tra l’altro ex collaboratore del Sisde. Secondo la Commissione regionale Antimafia: “L’ingiustificata pervasività dei servizi segreti nelle indagini sulla strage di via D’Amelio è provata e manifesta.” Successivamente all’arresto di Bruno Contrada si consuma uno scontro all’interno delle forze di polizia. Le conseguenze, come emerge nell’inchiesta dell’Antimafia regionale, si manifestano nel modo in cui avrebbero gestito le indagini gli uomini di La Barbera. Gli stressi uomini che secondo l’ipotesi accusatoria della Procura di Caltanissetta manipolarono la falsa collaborazione di Scarantino, Candura e Valenti. Attualmente è in corso il dibattimento a Caltanissetta.
Il falso pentito Scarantino come “copertura”
Secondo il Presidente Claudio Fava Scarantino “è stato un pupo costruito a tavolino”. Dalla relazione emergono alcune “forzature investigative” dalle confessioni di Scarantino avvenute a distanza di 2 anni dal suo arresto: “Perché furono autorizzati colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della collaborazione? Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione ma ai poliziotti del gruppo “Falcone-Borsellino” diretto da La Barbera? Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel Borsellino 1 i verbali del confronto fra il presunto pentito Scarantino e i collaboratori di giustizia Cancemi, Di Matteo e La Barbera che lo smentivano palesemente? Perché i pm di Caltanissetta, e successivamente i giudici, non tennero in alcuna considerazione le due ritrattazioni di Scarantino? Perché non fu mai redatto un verbale del sopralluogo della polizia assieme a Scarantino nel garage dove sosteneva di aver trasportato la 126 poi trasformata in autobomba? Chi è l’ispiratore dei verbali, con a margine annotazioni a penna, consegnati a Scarantino prima dei suoi interrogatori? Perché non si tennero in alcuna considerazione le note critiche trasmesse dalla Boccassini e da Sajeva al pool di Caltanissetta?
Queste sono solo alcune delle domande che da 26 anni attendono una risposta. Troppe incongruenze e omissioni. Su tutti appare parecchio interessante la confessione fatta da Scarantino al giornalista di Mediaset Angelo Mangano. Il cronista alla Commissione ricorderà l’episodio dell’intervista a Scarantino in cui ritratta tutto e il successivo intervento di “poliziotti che non si sono qualificati” per eliminare la registrazione. Ma fortunatamente un operatore milanese aveva copiato la registrazione e il servizio in un supporto diverso.
Infine emerge come “mai una sola investigazione giudiziaria e processuale ha raccolto tante anomalie, irritualità e forzature, sul piano processuale e sostanziale, come l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta. Ma alla realizzazione di un depistaggio – si legge nelle conclusioni – concorsero tante volontà, tante azioni, tante omissioni come in questo caso. Questo induce a pensare che “menti raffinatissime”, volendo mutuare un’espressione di Giovanni Falcone, si affiancarono a Cosa nostra sia nell’organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio. Certo il ruolo che il Sisde ebbe nell’immediata manomissione del luogo dell’esplosione e nell’altrettanto immediata incursione nelle indagini. Infine, – concludono – se le domande che questa Commissione ha voluto raccogliere, per poi rivolgere a chi era in condizione o avere il dovere di rispondere, fossero state formulate anche in passato, non avremmo dovuto aspettare 26 anni per avere contezza e certezza di questo depistaggio. Resta un vuoto di verità su chi ebbe la regia complessiva della strage e del suo successivo depistaggio. E quale sia stato – nel comportamento di molti – il labilissimo confine fra colpa e dolo, svogliatezza e intenzione, distrazione e complicità”.