Quando Lo Sciuto “si vantava” dell’amicizia con il latitante: “Con Matteo Messina Denaro ci volevamo bene”

Il politico di Castelvetrano, arrestato ieri, alla stampa negava l’amicizia con il latitante, ma a un confidente rivelava: “Noi ci volevamo bene”

CASTELVETRANO. Figura tutta d’un pezzo quella di Giovanni lo Sciuto. Politico di lunga esperienza, in passato anche membro della Commissione Regionale Antimafia. E lui di mafia se ne intendeva. Ma anche di massoneria, in particolare della loggia “Hypsas” del “Grand Orient de France”. Intercettato diceva che all’Ars “strappava” le lettere anonime che arrivavano sulla massoneria della sua zona: “Quando sono cose di qui le prendo io e le strappiamo. Se sono cose serie le mandiamo alla procura, ma devono essere cose serie con riscontro”.

Quella massoneria segreta, occulta, che muoveva la sua tela e strizzava l’occhio alla mafia. Una loggia nella loggia. Questo hanno scoperto i Carabinieri guidati dalla Procura della Repubblica di Trapani. Un sistema criminale tra professionisti, medici, politici, appartenenti alle forze dell’ordine, per aprire “corsie preferenziali” per gli amici. Tanti “incappucciati”, altri soltanto compiacenti. Amici che spesso portavano voti, tanti voti.

È quanto emerge dalle carte dall’operazione “Artemisia”, con il quale il GIP del Tribunale di Trapani Emanuele Cersosimo ha accolto la richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica di Trapani. La richiesta è stata firmata dal procuratore Alfredo Morvillo e dai sostituti procuratori Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani.

In tutta questa storia sarebbero state documentate dai carabinieri circa 70 pensioni di invalidità concesse ingiustamente. Medici compiacenti, come il medico alcamese funzionario dell’Inps Rosario Orlando, oggi ai domiciliari, che con Giovanni Lo Sciuto era in “buoni rapporti”. I rapporti erano talmente buoni che lo stesso Lo Sciuto si interessò per il posto da ricercatrice (e quindi di una borsa di studio) per la figlia di Orlando, non indagata. Per questa vicenda è stato indagato anche l’ex Rettore dell’Università degli Studi di Palermo Roberto Lagalla, oggi Assessore Regionale alla Formazione.

Lo stesso Lo Sciuto cercò in tutti modi di avere un appuntamento con il Rettore Lagalla, utilizzando i suoi contatti politici. Era troppo importante per lui quel posto da ricercatore. Secondo la Procura tra Lo Sciuto Giovanni e Orlando Rosario ci sarebbe stato “un accordo corruttivo”, attuato con la richiesta a Lagalla, all’epoca Rettore pro tempore dell’Università di Palermo, quindi pubblico ufficiale, di assegnare un posto di ricercatrice con borsa di studio presso l’Università di Palermo alla figlia di Orlando. Lagalla, quindi, avrebbe violato le norme di legge in materia di concorsi pubblici e in particolare, esercitando in violazione dell’art. 97 Cost. e “dei parametri di imparzialità la propria discrezionalità amministrativa nella fase di assegnazione dei posti rimasti vacanti a seguito della chiusura della graduatoria, intenzionalmente procuravano alla figlia di Orlando (prima degli esclusi in graduatoria) un ingiusto vantaggio patrimoniale”, consistito nell’assegnazione di una borsa di studio del valore pari a 3 mila euro per il 2015, e un importo pari a 3 mila euro per il 2016. Questa mattina Lagalla è stato sentito in Procura.

Ma c’è anche altro. Amicizie e “pressioni” per concedere le aule scolastiche di una scuola di Castellammare del Golfo. Lo Sciuto si è parecchio infastidito quando vennero negate le aule all’ANFE di Paolo Genco dal nuovo dirigente scolastico di un istituto di Castellammare. Si è sbracciato in tutti i modi per “sbloccare la situazione” tramite i suoi contatti politici. In gioco c’erano i finanziamenti per i corsi di formazioni professionale. Lo Sciuto, quindi, sarebbe stato a capo, secondo i magistrati, di un vero e proprio “sistema corruttivo” capillare. Tra Genco e Lo Sciuto ci sarebbe stato un “reciproco asservimento”, in sintesi sostegno elettorale in cambio di finanziamenti per la formazione.

Lo Sciuto è anche quel soggetto che al giornalista di Fanpage.it Sandro Ruotolo, riferisce di aver conosciuto Matteo Messina Denaro soltanto da ragazzino, senza aver mai avuto rapporti o di averlo frequentato. Il giornalista Ruotolo lo ha incalzato telefonicamente con le sue domande durante un’inchiesta realizzata proprio sul potere di Matteo Messina Denaro nella città di Castelvetrano.

Fermo immagine, fanpage.it

Il giornalista insisteva contestando che comunque Matteo Messina Denaro era figlio del capo mandamento Francesco  “don Ciccio” Messina Denaro, ma Lo Sciuto rispondeva che anche il padre all’epoca “era una persona normale come tutte le altre”. Due giorni dopo la pubblicazione della video-inchiesta Lo Sciuto scrive una lettera aperta nella quale si legge: “Mi pare corretto raccontare i fatti per come si sono svolti, correva l’anno 1981 ed io, come tutti i diciassettenni di ogni epoca, andavo a scuola e frequentavo tanti ragazzi con i quali si usciva e ci si divertiva, condividendo gli stessi luoghi di raduno. Tra le frequentazioni dell’epoca c’era anche Giovanni Filardo, che ebbe il piacere di invitare me e tanti altri amici della compagnia al matrimonio della sorella. Fra quelle conoscenze rientrava anche Matteo Messina Denaro cui non ho mai negato una conoscenza. All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo dopo la fine degli anni ‘80. Con il Filardo finita la scuola superiore ci allontanammo, poiché lui interruppe gli studi mentre io mi iscrissi alla facoltà di medicina e non abbiamo avuto più occasione di frequentarci, né con lui né tantomeno con Matteo Messina Denaro.”

Ma evidentemente non era proprio così. Infatti Lo Sciuto, intercettato dai Carabinieri, rivelava ad un confidente, senza mezzi termini, la sua grande amicizia con il pericoloso latitante.

“Quello la’ (Matteo MESSINA DENARO ndr), siccome noi ci volevamo bene capito, assai ci volevamo bene, perciò da me puoi stare tranquillo che ne mi manderà nessuno, ne viene nessuno. […] e ne mi mette in pericolo a me perché lo sa che, lo capisce che da me non deve venire nessuno perché consuma pure a me hai capito? […] noi ci volevamo bene hai capito, …inc… avevamo un rapporto. […] quando eravamo ragazzini ci volevamo bene, poi lui ha fatto la sua strada …inc… minchia, come mi tratta, mi tratta mi tratta. Però lui minchia quando ha preso quella strada mi ha detto “Giova’ io faccio una strada, tu fai una strada, statti lontano”, minchia me lo è venuto a dire . […] mi ha detto “Giova’ stati lontano, non è strada che spunta, io sono costretto”. […] minchia dopo una settimana che l’ho visto gli ho detto “che?” dice “capace che non ci vediamo più”. […] minchia mai e guai a chi toccava a, minchia guai chi toccava a me o veniva qualcuno da me minchia diceva “da Giovanni LO SCIUTO non ci deve andare nessuno, lasciatelo stare a quello che quello deve fare un’altra strada”, minchia mai! non mi ha messo mai, non mi ha messo mai in difficoltà”.

Un amicizia spavaldamente pubblicizzata, che finì per diventare “solo conoscenza” in occasione della foto del matrimonio mostrata dal giornalista Ruotolo. Un politico tutto d’un pezzo, con due piedi in una scarpa.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.