Racconti migranti/13. La storia di Derrick: “Lavoro nei campi fin da bambino, in Italia destinato alla clandestinità”

Dalle coltivazioni di cacao, a quelle di meloni. Dalle patate ai pomodori. Derrick ama lavorare nei campi, ma in Italia oggi rischia di essere un “fantasma” destinato alla clandestinità

Foto d’archivio

“Mi piace molto lavorare nei campi, è una tradizione di famiglia: prima di me mio padre e mio nonno. Sono venuto in Italia per fuggire dalle persecuzioni e dalla povertà, ma dopo tre anni mi sento un fantasma.” Derrick, nome di fantasia, spegne la sigaretta e riprende fiato, è un ragazzo determinato, deciso, che sa cosa vuole e conosce la sua condizione: “Lavoro nei campi, tanto e duramente, non mi lamento del lavoro, ma senza documenti non sono nessuno, sono un fantasma per lo Stato Italiano destinato alla clandestinità.” È proprio così. Derrick, 28 anni, da 3 in Italia, ha lavorato su e giù per l’Italia, negli agrumeti, tra gli ulivi, tra le coltivazioni di ortaggi e frutta del sud Italia. Viene dalla Costa D’Avorio, dove lavorava insieme al padre e al fratello nei campi di cacao e di patate. Una tradizione familiare dedicata alla campagna, da operai. Morto il padre per una malattia, lascia il fratello piccolo con la madre e decide di cercare fortuna altrove. Si stabilisce prima in Mali, poi in Algeria, dove lavora per alcuni mesi raccogliendo datteri. “Non ho mai sofferto il lavoro e il caldo, – sottolinea – ci sono abituato.

Foto d’archivio

Lavorare mi piace, la campagna è tutta la mia vita. Non ho mai fatto altro.” Racconta mentre gesticola con le braccia possenti di chi ha vissuto la campagna sulla propria pelle. È il racconto di chi dal lager libico, di cui non vuole palare molto, ha provato a fuggire due volte. La seconda è andata bene. “Dopo aver provato a fuggire dal centro, ho provato ad imbarcarmi per l’Europa. Ma ci hanno catturati e portati indietro. Da lì botte con i bastoni, calci, pugni. Per loro, i libici, eravamo utili per lavorare come schiavi. Poi una seconda fuga, questa volta in mare abbiamo raggiunto le acque internazionali e da lì il salvataggio.” Sbarcato a Catania da lì inizia a lavorare negli agrumeti siciliani, poi a Foggia, a Napoli, sempre in nero. Per quasi un anno si stabilisce a Palermo, poi decide di salire lo stivale, ma non troppo. Dopo aver dormito nelle baraccopoli, sembrava aver trovato la sua “tranquillità” in Puglia. Una comunità lo aveva accolto, e aveva iniziato a fiutare anche l’odore di un contratto regolare. Un contratto come bracciante, per lui voleva dire tanto. Felice, lavora e mette da parte qualche soldo per raggiungere una sua autonomia, una casa in affitto, una sistemazione. Una sicurezza finalmente, dopo anni a “girovagare per le baraccopoli e gli alloggi di fortuna, sempre senza contratto.”

Oggi, però, è un fantasma. Non ha più il permesso umanitario da quando è entrato in vigore il Decreto  Sicurezza voluto dall’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Niente permesso, niente documento. E nessun rinnovo di contratto alla scadenza. La protezione umanitaria non può essere convertita in contratto di lavoro, così è costretto a fare istanze e richieste nel vuoto. Niente. “Sono tornato ad essere un fantasma, sono un numero, non più un essere umano. Ho perso ogni diritto a lavorare, a farmi una vita felice. Sono arrabbiato, deluso, ma non mollo. Continuerò a chiedere una possibilità per riottenere i documenti. Amo l’Italia, mi sono sempre trovato bene e vorrei vivere e costruirmi qui una famiglia e un futuro.” Oggi Derrick si trova in Sicilia, ha appena finito la vendemmia. Ha deciso di fermarsi a Palermo ancora qualche giorno, poi tornerà a Catania e successivamente in Calabria per la raccolta delle olive e degli ortaggi. “Faccio questa vita da circa 3 anni, sono un bracciante pendolare. Vado dove c’è lavoro: agrumi, campi di ortaggi, frutteti, vigneti, uliveti, sono un appassionato di campagna, mi piacerebbe continuare a fare questo lavoro qui in Italia, ma da regolare. Non capisco perché debba continuare a vivere nella clandestinità. Fino a l’anno scorso ero in regola con un contratto di lavoro e con la possibilità del rinnovo, poi tutto si è arenato sullo scoglio Decreto Sicurezza…”

Foto d’archivio Google

Il Decreto voluto da Salvini e avallato dal precedente Governo Giallo-Verde ha creato l’effetto opposto, tanti irregolari e tanti contratti di lavoro sfumati. Le commissioni hanno respinto gran parte delle richieste, e in molti hanno deciso di lasciare i centro di accoglienza, uscendo dai progetti Sprar e dalla possibilità di assistenza e protezione. In strada, diventati dei clandestini, spesso si rischia di cedere all’illegalità. “Io sono una persona onesta, non ho mai fatto niente contro la legge e voglio regolarizzarmi. Ma purtroppo per le commissioni di valutazioni non sono idoneo” – sottolinea Derrick. Infatti chi era titolare di protezione umanitaria, oggi non potrà più chiedere il rinnovo, le commissioni non concedono più permessi, tranne in caso speciali. Trascinando moltissimi nell’irregolarità. Il motivo di questa scelta da parte dell’ex Governo Giallo-Verde parte dalla convinzione che la protezione umanitaria, secondo l’ex Ministro Salvini, fosse troppo discrezionale e quindi estesa a troppi soggetti. La volontà era quella di ridurre le richieste, ma in realtà sono aumentati gli irregolari. Il Decreto Sicurezza, infatti, ha creato l’effetto contrario. Secondo alcuni dati pubblicati l’anno scorso dall’ISPI, il numero di irregolari è notevolmente salito dal “dopo Decreto Sicurezza” ed è destinato a salire ancora nei prossimi anni se non si interviene subito.

Derrick si alza, si dirige verso la stazione degli autobus, zaino in spalla, seconda sigaretta accesa. “Devo andare, mi aspetta una dura settimana di lavoro”. Ci salutiamo, lui scherza e sorride: “Com’è stato chiacchierare con un fantasma?”. Strano fantasma, dalla forte e possente stretta di mano.

La prossima storia sarà pubblicata domenica 12 gennaio 2020.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.