Mazara, “lo scambio per la libertà dei nostri pescatori è infondato”

Parla il sindaco Quinci, “in questo momento servono responsabilità e prudenza”

Un sequestro che ancora non si risolve. E’ quello compiuto da motovedette libiche dei due motopescherecci “Antartide” e “Medinea”, e dei 18 marittimi imbarcati, tra i quali i comandanti di due motopesca sfuggiti alla cattura. Un episodio che risale ai primi giorni di settembre. Pescherecci e marittimi si trovano bloccati nel porto di Bengasi controllato alle milizie del generale Haftar, oppositori del regime guidato da Al Serraj. E’ di queste ore la notizia che i fedeli al generale Haftar avrebbero chiesto alle autorità italiane di scambiare la libertà dei pescatori italiani con il rimpatrio in Libia di quattro scafisti condannati dalla Corte di Assise di Catania, in via definitiva, per un tragico naufragio che nel 2015 vide morire una cinquantina di migranti. I quattro condannati sono stati riconosciuti come gli scafisti di quel tragico viaggio e autori di violenze nei confronti delle persone che dietro lucroso pagamento dovevano far giungere a Lampedusa. Il naufragio è dell’estate 2015, diventato ancora di più famoso per un docu film firmato da Gianfranco Rosi, “Fuocoammare”. La notizia della proposta di scambio non ha trovato conferma presso la Farnesina. Anzi il sindaco di Mazara, Salvatore Quinci, la definisce del tutto infondata. “Non passa giorno – dice – che personalmente non segua l’evolversi della vicenda tenendomi in contatto con le autorità diplomatiche, e devo dire che questa notizia rimbalzata dai social sulla stampa è del tutto infondata. Penso che chi l’ha lanciata sui social lo abbia fatto in modo irresponsabile, in un momento in cui serve semmai tanta prudenza”. Nessuna ipotesi di libertà dunque per i nostri marittimi e per i comandanti dei motopesca “Anna Madre” e “Natalino”, fatti salire a bordo delle motovedette libiche, mentre i loro natanti riuscivano a sfuggire al sequestro. “Ad oggi – aggiunge Quinci – non c’è nemmeno una contestazione di addebito di natura giudiziaria da parte delle autorità libiche nei confronti dei marittimi, c’è una trattativa avviata per le vie diplomatiche, ma è impossibile immaginare a qualcosa che si muova fuori dai canali diplomatici”. Da parte della Libia a una settimana dal sequestro c’è solo silenzio. I nostri pescatori sono trattenuti in assenza di provvedimenti giudiziari. ed è su questo che si sta muovendo la nostra diplomazia, come conferma il sindaco Quinci. Ancora una volta scenario del sequestro sono le acque nel golfo della Sirte per le quali la Libia rivendica la territorialità. Sono acque pescose in particolare per il Gambero rosso. Il sequestro secondo quanto riferito via radio dai comandanti è avvenuto a circa 35 miglia nord da Bengasi, oltre quelle 12 miglia dalla costa e quindi in acque internazionali per le convenzioni marittime, ma acque territoriali per la Libia. Un sequestro che subito è stata collegato a vicende politiche, perché avvenuto a ridosso di una visita in Libia del nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio e dopo un incontro che Di Maio ha avuto con Al Serraj. Un sequestro quindi che potrebbe essere stato compiuto come ritorsione all’attività diplomatica del nostro Paese, per riconoscere come unica autorità libica quella rappresentata da Al Serraj. «La presenza del ministro Di Maio in Libia in questi giorni non può essere una coincidenza – disse Quinci nell’immediatezza del sequestro – La circostanza ci preoccupa, ma oggi – passaggio ribadito ancora in questa giornata segnata da una richiesta di scambio di “prigionieri” – osserviamo un silenzio rispettoso del lavoro che sappiamo si sta svolgendo in maniera frenetica alla Farnesina che già in altre circostanze ha saputo trattare vicende analoghe in modo opportuno ed efficace». Prigionieri allo stato sono solo i nostri marittimi, i libici condannati in Italia per una strage compiuta in mare, sono soggetti condannati da giudici e in tre gradi di giudizio. La Giustizia, almeno quella italiana, non fa prigionieri! Lo scenario che si è delineato, il sequestro dei libici dei nostri motopesca e pescatori per ripicca politica, l’assenza di addebiti giudiziari ancora da parte dei libici nei confronti dei nostri concittadini, però non potrebbe esclidere l’esistenza di trattative sotterranee, fuori dai canali ufficiali della diplomazia, cioè il tentativo di fare tornare in patria, in Libia, i quattro libici condannati in Italia. Per i libici poi non si tratta di cattive persone, semmai di “giovani promesse del calcio”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.