Sono trascorsi 50 anni dalla scomparsa del cronista de L’Ora, Mauro De Mauro: quando Boris Giuliano diceva…
di FRANCESCO LA LICATA*
Il caso De Mauro era uno dei chiodi fissi di Boris Giuliano, forse perché tra l’investigatore e la famiglia del giornalista scomparso si era instaurato un rapporto addirittura affettuoso. E soprattutto perché Giuliano provava una gran tenerezza per le figlie di Mauro, Franca e Junia, per lungo tempo appese al miraggio di poter riabbracciare il loro papà.
Per questo non abbandonò mai la ricerca del filo che potesse portare alla verità su uno dei primi “grandi misteri italiani”, anche dopo che da Roma era arrivato il diktat dei servizi segreti che imponeva la fine di ogni indagine. Boris lo aveva detto apertamente al giudice istruttore responsabile dell’inchiesta giudiziaria: “C’è stata una riunione dei servizi a Villa Boscogrande ed è stato deciso di fermare tutto”.
Eppure malgrado ciò lui continuava a guardarsi intorno, alla ricerca di ogni indizio. E qualcosa deve aver trovato visto che una mattina, in una delle rare concessioni alle confidenze, stando in piedi davanti alla finestra del suo ufficio si lasciò andare. “Forse – disse col sorriso del gatto col topo in bocca – ho capito perché è stato sequestrato Mauro De Mauro”. Si fermò quasi pentito di quella confidenza, ma a quel punto la curiosità del cronista era divenuta irrefrenabile. “No, non posso dire altro perché c’è ancora da lavorare”, rispondeva come un disco rotto. Alla fine, esausto per l’insistenza del cronista, chiuse il discorso così: “E una storia di soldi, come quasi tutte le storie protette da molti silenzi. Una storia di tanti soldi”. Si lasciò sfuggire che la sua fonte era un medico di cui, ovviamente, non volle dire assolutamente nulla.
Questo è il prologo di un “romanzo” nella mia mente rimasto incompiuto per lungo tempo, per tanti anni, almeno fino a quando – preparando i testi per uno dei “Misteri italiani” di Carlo Lucarelli – potei mettere gli occhi sulle carte processuali del processo. La maggior parte degli allegati riguardavano i due filoni principali dell’inchiesta: la “pista Borghese” e la “pista Mattei”, entrambe sostenute dal contributo di una fila interminabile di collaboratori di prima grandezza, da Buscetta a Calderone, a Mutolo, a Francesco Marino Mannoia e al boss italo americano Rosario Naimo.
Ma tra le carte c’era anche un rapporto giudiziario firmato da Boris Giuliano e consegnato alla Procura di Palermo, verso la metà degli anni Settanta. Giuliano scriveva che De Mauro e il commercialista Nino Buttafuoco (l’uomo inviato in casa De Mauro, subito dopo il sequestro, per spiare le mosse della squadra mobile) erano stati visti, nel mese di luglio precedente a quel 16 settembre 1970, nella cancelleria del tribunale civile di Palermo. Cercavano, e forse, visto che fotocopiavano, avevano trovato tracce di una mega operazione finanziaria riconducibile ai cugini Nino e Ignazio Salvo, che poggiava su una mastodontica evasione fiscale (si parlava di 70 miliardi degli Anni ‘70). In sostanza la creazione di un grande “fondo nero” finalizzato al finanziamento del partito di maggioranza (la DC), che era anche la casa politica degli esattori di Salemi.
Inutile sottolineare quanto automatico sia stato, nella mente del cronista, il collegamento con il prologo già raccontato. “E una storia di soldi”, aveva detto Boris. E una conferma mi sarebbe arrivata poco dopo, nel corso di un incontro avuto a Roma con Roberto Ciuni, negli anni ‘70 direttore del Giornale di Sicilia, che si avvaleva della consulenza fiscale del cav. Buttafuoco. Ciuni confermò che il commercialista aveva aiutato De Mauro nella ricerca presso la cancelleria del Tribunale. Aggiunse (lo aveva confermato pure agli investigatori) di aver appreso dallo stesso Buttafuoco dei suoi tentativi di dissuadere De Mauro dalla decisione di scrivere tutto. Ma il giornalista, a un certo punto, si faceva negare al telefono, particolare confermato da Elda, la moglie di De Mauro. Sarà per questo che Buttafuoco, poi, si affrettò a chiedere a Elda De Mauro notizie su qualcosa che il marito aveva in una busta gialla?
Questa “terza pista” non ebbe una gran fortuna nello svolgimento delle indagini, anche se nelle carte processuali è presente ma appena sfiorata. Certo, la Corte d’Assise ha senz’altro una visione completa di tutto il materiale probatorio e, dunque, dispone di molti più elementi per giudicare.
Prima di sparire De Mauro confidò a più d’una persona di aver scoperto qualcosa che gli avrebbe fatto vincere il premio Pulitzer, così tutti abbiamo collegato il movente a grandi storie politiche come l’attentato a Enrico Mattei e il tentato golpe del comandante Junio Valerio Borghese. Forse uno scandalo finanziario non sembrava adatto ad un premio Pulitzer, almeno fino al 1992. Ma poi abbiamo conosciuto la Tangentopoli, che ha liquefatto la Prima Repubblica. E se qualcosa di molto simile fosse stata scoperta da un giornalista vent’anni prima?
*giornalista e scrittore
fonte L’Ora edizione straordinaria