La sirena, il tonno ed il pesce spada.

I racconti di Nicola Quagliata.

La sirena, il tonno ed il pesce spada

Chi se la sentiva poi di ucciderla? Se assumma una cernia, una lampuga, una murena sulla barca che fai? Aspetti che finisce di sbattuliari? No! La prendi per la coda e gli fai sbattere la testa sul timone di legno, e finisce di campare e la puoi mettere nella cesta, siccome la sirena però è molto più grande e pesante di una lambuca, noi la dobbiamo trattare come un tonno, quando arriva sulla barca un colpo di remo sulla testa e gliela puoi anche staccare.

Un giorno di prima mattina, subito dopo la festa dei morti, col mare grosso smosso dalla tramontana dentro al golfo, con un rivugghiu d’acqua che pure i granchi cercavano riparo sopra gli scogli fuori dall’acqua, con le barche tirate a secco il giorno prima, i pescatori si dedicarono ai ragionamenti, consapevoli ormai che non avrebbero, quel giorno, portato a casa neppure il pesce per una ghiotta.

Chi avesse sentito i loro discorsi e ragionamenti se ne sarebbe fatto una pessima opinione ed avrebbe detto “questi sono solo dei perditempo che non hanno niente altro da fare”, nonostante la salsedine riempisse le rughe dei loro volti come le fosse sulla scogliera; e come con le fosse sulla scogliera ci si sarebbe aspettati che pesciolini delicati vi trovassero rifugio.

Quella mattina i pescatori, alla marina, mentre le onde lunghe e schiumose entravano nel golfo, inseguendosi e scavalcandosi disordinatamente, ritirandosi e scontrandosi con altre furiose onde in arrivo, e mormorando minacciose pure alle pietre, si sono posti un quesito: la sirena è commestibile? Si può vendere come il tonno ed il pesce spada al mercato?

I capannelli dei marinai coi piedi all’asciutto si componevano e si disfacevano, si raggruppavano e si frammentavano in discussioni che arrossavano i visi ed ingrossavano le vene del collo. Le voci dei rigattieri, allenate ad abbanniare il pesce per le strade del paese, sovrastavano quelle dei pescatori taciturni.

I più decisi nella risposta affermavano che tutto quello che proviene dal mare è commestibile e va mangiato, chi diceva diversamente disprezzava il mare e sputava nel piatto in cui mangiava. Quindi anche le sirene sono commestibili e vanno mangiate, avendo la fortuna di prenderne una o più di una tra le reti o con l’arpione. Era sempre meglio pescare la sirena con le reti che non con l’arpione. Presa con le reti la sirena conserva tutto il sangue che poteva essere salato e trattato come il lattume del tonno, e venduto a prezzi salati.

Altri invece affermavano che il problema vero non riguardava la commestibilità, ma la morale. Era giusto mangiarla? Essendo essa per metà umana non si commetteva forse cannibalismo nel mangiarla?

Ma quando mai! Se noi mangiamo il maiale, e tutti dicono che la carne di maiale è la più vicina, per consistenza e sapore, alla carne umana, senza farsene dubbi, perché dovremmo farci scrupoli con la carne della sirena?

Non poteva essere considerato cannibalismo se ci si limitava a mangiare tutta la parte della coda mantenendosi sotto l’ombelico. Senza contare che la carne della sirena vicino all’ombelico è come la ventresca, bianca, tenera e grassa, si scioglie in bocca e come la ventresca va venduta a prezzi più alti.

Ma sorgeva un altro problema da un altro capannello, che pur volendosi mantenere sotto l’ombelico e mangiare solo la coda, per farlo bisognava darle la morte.

No! Si diceva da un altro capannello, gridando per farsi sentire da tutti.

La parte della coda, ovvero la parte ittica della sirena, visibilmente non umana, corrisponde alle gambe umane, e forse nel tagliare le gambe ad un cristiano questo muore?

Muore dissanguato!

E dissanguata morirebbe la parte umana della sirena!

Era inevitabile che la sirena dovesse morire una volta pescata, appena affondato il trincetto sotto l’ombelico la morte sarebbe sopraggiunta nella parte superiore, quella umana.

 I pescatori usavano il trincetto tagliente dei calzolai che tagliano il cuoio per aprire i tonni.

Non si poteva separare la parte marina, ittica, da quella umana, e non si poteva affettarla senza che morisse del tutto. E d’altronde non era forse meglio così? Quale sofferenza avrebbe avuto la povera sirena nel guardare il pescatore mentre la affettava sopra il bancone di legno tra le voci e nella confusione del mercato, e la incartava per venderla?

Superato il tabù del cannibalismo, chi avrebbe avuto lo spirito di mangiare carne della sirena che in parte era carne umana e che viveva in un tutt’uno inscindibile con la parte umana?

Intanto nessun pescatore ne avrebbe mangiato, la sirena veniva pescata non certo per autoconsumo ma per il mercato, sarebbe stato il mercato a dirimere i problemi etici legati alla carne semiumana della sirena, il mercato avrebbe sciolto ogni dubbio, il mercato avrebbe dato la risposta.

Il mercato apriva una prateria di ragionamenti e soluzioni; qui si sarebbero trovati gli acquirenti che non si sarebbero posti di certo dubbi sul mangiarla, anzi era possibile venderla come prelibatezza, chef di fama si sarebbero precipitati e sbizzarriti in infinite ricette curiose e costose, ricette di mare favolose.

Il mercato ne avrebbe anche stabilito il prezzo, sulla base della domanda e della offerta. La sua vendita non poteva che avvenire a fette, come il pesce spada con cui condivideva la carne bianca ed asciutta e magra, forse buona anche per le diete, per cui potevi abbuffarti senza perdere la linea, risolvendo così i problemi e le sofferenze delle belle donne che non avrebbero più dovuto lesinarsi il cibo.

La vendita sarebbe avvenuta come quella del tonno e del pesce spada, a fette per chi doveva cucinarla e mangiarla subito, a pezzi grossi per chi invece voleva farne conserva sotto sale.

La parte della sirena che andava al mercato era quella che dalle pinne della coda arrivava all’ombelico o poco sotto l’ombelico.

Non c’era da meravigliarsi se fossero pervenute richieste anche della parte superiore, umana della sirena; in quel caso si sarebbe aperto un mercato clandestino della carne semiumana e come il mercato della droga i prezzi sarebbero lievitati  anche di cento mila volte, proprio come con la droga il cui prezzo viene mantenuto elevatissimo dalle autorità statali con legislazioni apposite.

Il taglio vicino all’ombelico sarebbe stato venduto come specialità ad un prezzo più caro.

Alla marina tutti avrebbero tratto vantaggio dalla cattura della sirena. Dove arrivava idda finiva il pescato. Pure i gabbiani cambiavano tratto di costa.

Non c’erano reti o nasse o fiocine che la superassero nella pesca.

Poco dopo il suo arrivo sparivano i saraghi, le spigole, le orate e tutta quanta la fauna marina di quel tratto di costa al centro del Mediterraneo e del mar Tirreno. Sparivano le mormore (aiole) e le fragoline (luvari) e le sparagghine, le serranie e le lampughe che saltano fuori dall’acqua per gioco, spariva la gallinella e scappavano le anciove, (alici) che cambiavano rotta, e tracine e cipolle non se ne vedevano più. Quelli che non mangiava lei scappavano e solo col tempo tornavano a popolare i fondali. Un polipo fu trovato nello stomaco di una enorme biscia d’acqua perché si era arrampicato sugli scogli e sentendo la frescura d’acqua di una gebbia dentro un orto poco sopra, era finito proprio tra le fauci della biscia d’acqua; la biscia appesantita dal polpo che aveva divorato ed ingerito non riusciva ad allontanarsi; il contadino che intanto era arrivato nel vederla gli assesto un colpo di zappa staccandogli la testa, ed un altro colpo di zappa che la divise a metà col polpo che ancora si muoveva.

Polpi, calamari, seppie e totani erano i più ricercati dalla sirena.

Era inutile calare le reti.

La sirena è come il maiale e come il tonno, del maiale e del tonno non si butta nulla.

Quello fu l’ultimo giorno e l’ultima volta che i pescatori del paese parlarono della sirena. Invecchiarono, i loro figli si dedicarono ad altro che al mare ed alle reti ed al pesce, al mattino si alzavano per andare a Palermo all’università, maschi e femmine. Della sirena non si parlò più perché non c’era più nessuno che ne parlasse, che avesse motivo di parlarne o che ascoltasse chi ne parlava. Non se ne sentì più parlare, nessuno più prese il mare per andarla a cercare e se qualcuno l’aveva intravista in passato era invecchiato e teneva per sé la visione. Le barche stesse non erano più in legno ma in vetroresina, a costruirle ci si ammalava ai polmoni.

Quella stessa mattina, prima di mezzogiorno, arrivò alla marina Ninni u Cuti chi vinnia gelatu di zuccaru filatu.

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