La vicenda risale a quando era capo della Squadra Mobile di Roma. Il Tribunale di Perugia infligge cinque condanne
Tutti condannati. Questa la sintesi della sentenza emessa dal del tribunale di Perugia sul caso dell’espulsione dal nostro Paese di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov: l’allora capo della squadra mobile romana Renato Cortese e l’ex dirigente dell’ufficio immigrazione, Maurizio Improta sono stati condannati a cinque anni. La donna venne rimpatriata nel 2013 con la figlia di 6 anni e successivamente è comunque tornata in Italia.
Il tribunale presieduto da Giuseppe Narducci ha condannato inoltre l’allora giudice di pace Stefania Lavore a due anni e mezzo di reclusione, i funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia a cinque anni, e quelli dell’Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni, rispettivamente a quattro anni e tre anni e sei mesi di reclusione. Per Cortese, Improta, Stampacchia e Armeni è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici. Cortese, Armeni, Stampacchia, Tramma, Leoni e Improta sono stati riconosciuti responsabili di sequestro di persona nei confronti di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della loro figlia Alua, all’epoca di sei anni. Assolta per questo reato invece il giudice Lavore. Nel processo, oltre al sequestro di persona, erano contestati diversi episodi di falso. Le condanne inflitte sono state più alte di quelle chieste dal pubblico ministero Massimo Casucci.
Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste, ha sempre onorato il servizio. E’ quanto hanno sottolineato i difensori dell’ex capo della Squadra Mobile di Roma e attuale questore di Palermo Renato Cortese nel corso dell’arringa difensiva del 7 ottobre scorso nel processo per il caso Shalabayeva. Per Renato Cortese «’che Alma Shalabayeva rimanesse in Italia, fosse trattenuta o espulsa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse – ha detto in quell’udienza l’avvocato Franco Coppi, difensore dell’ex capo della Squadra Mobile di Roma – era un altro, quello di catturare una persona che oggi da tutti viene indicato come un martire ma che, in quel momento, venne segnalato da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di avere commesso reati patrimoniali di rilevante entità’». Cortese è l’uomo «’che ha catturato Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Salvatore Grigoli, Bernardo Provenzano – ha ricordato l’altro difensore di Cortese l’avvocato Ester Molinaro – Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste. Le condotte e i fatti che gli vengono contestate non configurano reato e comunque non li ha commessi».