Quel vicolo della morte

Strage mafiosa di Pizzolungo: l’attentato deciso in vicolo Pipitone di Palermo, a casa del capo mafia Vincenzo Galatolo. Condannato a 30 anni

Trentacinque anni dopo si torna a parlare di Pizzolungo e della strage del 2 aprile 1985, e questo per la condanna del boss mafioso dell’Acquasanta Vincenzo Galatolo. Condannato oggi a 30 anni quale mandante, tradito dalle parole della figlia, Giovanna. Era il 2 Aprile 1985. Un’auto imbottita di tritolo, ferma su una curva della strada che collega la costa di Pizzolungo con Trapani, di buon mattina, all’ora in cui si comincia ad andare al lavoro, viene fatta esplodere da un commando di assassini che usa un telecomando. E’ rimasto per un paio di ore appostato sulla terrazza di una casa, da lì attende che all’incirca verso le 8 da quella curva escano due auto, una blindata, una Fiat Argenta, e un semplice Fiat Ritmo, dove a bordo ci sono rispettivamente un magistrato della Procura, Carlo Palermo, e gli agenti della sua scorta. Per strada c’è anche un’altra auto, una Wolkswagen Scirocco, a guidarla è una donna, Barbara Rizzo, sta accompagnando a scuola i suoi due figli, i gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. Il pulsante viene schiacciato lo stesso. Il botto è tremendo. Viene avvertito in città, trema ogni cosa, si pensa a un terremoto. E invece è un attentato. Restano feriti il pm Palermo e gli agenti che lo scortavano, Raffaele Di Mercurio, Totò La Porta, Nino Ruggirello, l’autista della blindata Rosario Maggio. La scena che si presenta innanzi è fatta di auto e lamiere contorte, un profondo cratere sulla strada, mura e recinzioni divelte, tanto fumo, villette sfondate, c’è una macchi di sangue stampata sul punto più alto di una villetta. Subito qualcuno dice, “siamo come in Libano con le bombe che sfondano i palazzi e lasciano macerie”. Sarebbe più facile dire che Pizzolungo si sovrappone a via Pipitone Federico nel giorno dell’attentato contro il capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo Rocco Chinnici. Era il 29 luglio 1983. Anche lì un’autobomba. Il primo che si accorge che sulla strada di Pizzolungo manca qualcosa è lo stesso magistrato scampato all’agguato. Racconta: “scendo dall’auto mi guardo intorno, aiuto l’autista i poliziotti a terra, gravemente feriti e però mi guardo attorno e ricordo come in un lampo un’altra auto che Maggio, il mio autista, stava lasciando alla sua destra mentre la sorpassava.In quel momento un lampo accecante, un rumore così forte. E’ esploso il motore della nostra auto? No, era l’attentato”. In quella scena da guerra non c’è più l’auto di Barbara Rizzo, sparita, si troverà un pezzo di albero motore, un volante piegato, cancellate per sempre le tre persone a bordo, di Barbara, Salvatore e Giuseppe invece non si troverà nulla. Il botto li ha inghiottiti e dilaniati.
Oggi a Caltanissetta il gup ha condannato a 30 anni il boss mafioso palermitano Vincenzo Galatolo, mandante della strage assieme ai già condannati Totò Riina, Vincenzo Virga, Nino Melodia e Balduccio Di Maggio. Accolta la richiesta dei pm Gabriele Paci e Luciano Pacifico. Paci in particolare è il procuratore aggiunto che con le sue indagini sta ricostruendo pezzi importanti della storia siciliana, e a mani piene ha raccolto prove di incredibili depistaggi.

Sono trascorsi 35 anni da quella strage, e le indagini, i processi, hanno attraversato tutti questi 35 anni. Trattandosi di un attentato ad un magistrato di Trapani, per competenza il coordinamento e il giudizio spettano alla Procura e al Tribunale di Caltanissetta. Gli autori della strage, i componenti del commando che usò il telecomando, arrestati nell’immediatezza, sono stati condannati in primo grado, ma sono stati assolti col sigillo della Cassazione. Nei primi anni del 2000 vengono condannati all’ergastolo, in due distinti processi, in uno Totò Riina e il trapanese Vincenzo Virga; nell’altro i palermitani Nino Madonia e Balduccio Di Maggio. Riconosciuti come mandanti. Sono trascorsi 35 anni ma la verità di quella strage non è stata ancora scritta con chiarezza. Pensate. Gli assolti dal primo processo, all’epoca rimasti solamente indiziati, sono risultati grazie a successive indagini, anche su altri fatti della mafia trapanese, mafiosi di tutto punto ed esecutori della strage. Ma non possono essere più processati. Ne bis in idem, nessuno può essere processato per un reato per il quale è stato assolto in via definitiva. Qualcuno di loro è morto, qualcun’altro è in cella ancora. Come l’alcamese Nino Melodia, lui avrebbe premuto il tasto per scatenare l’esplosione, lui frequentava la casa di Vincenzo Galatolo. Testimone d’acccusa del boss Galatolo è stata sua figlia, Giovanna. Lei ha raccontato del fastidio del padre ogni volta che il pm Carlo Palermo compariva in tv.

Quell’abitazione dentro vicolo Pipitone a Palermo che era “la sala operativa” di Cosa nostra palermitana, dove per i pm fu pianificata la strage di Pizzolungo e vennero decisi altri eclatanti delitti di quella stagione di mattanze degli anni ’80. Anche la strage di via Pipitone Federico, l’omicidio del prefetto Dalla Chiesa, i delitti politici…l’omicidio dell’agente Antonino Agostino, ammazzato assieme alla moglie Ida Castelluccio. In quel vicolo si decidevano delitti e stragi, da qual vicolo partivano i killer. E poi lì tornavano a festeggiare magari alla presenza di Totò Riina.

Sarebbe interessante risalire il filo del depistaggio. Sapere chi si interessò a far pronunciare assoluzioni da una Corte che secondo altri giudici aveva tutti gli elementi a disposizione per condannare. Chi aiutò quei boss a evitare le condanne, perché mai Totò Riina teneva parecchio a quei imputati alla sbarra per la strage di Pizzolungo tanto da far smuovere il capo mafia nisseno Piddu Madonia per vedere di avvicinare i giudici di quella Corte di Assise, ma soprattutto ancora oggi ci si chiede perché Carlo Palermo, magistrato originario di Trento, rimosso da quell’ufficio istruzione, per una indagine su armi, droga e riciclaggio di denaro nelle casse del Psi di Bettino Craxi, all’epoca presidente del Consiglio, e mandato, su sua richiesta, in Procura a Trapani, subì l’attentato a 40 giorni dal suo insediamento nell’ufficio inquirente trapanese, a cosa servì la struttura di Gladio all’epoca già esistente a Trapani. L’esplosivo di Pizzolungo è tritolo di provenienza militare, uscito da qualche polveriera, lo stesso usato all’Addaura contro Falcone nel 1989 e a via D’Amelio nel 1992. Ce ne sono insomma tanti di elementi che portano a pensare a “menti raffinate” dietro il botto di Pizzolungo.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.