Nuovi particolari dopo il sequestro del patrimonio: Polizia e Finanza evidenziano nuovi particolari. Udienza fissata per il 4 dicembre
Il sequestro preventivo che ha colpito l’imprenditore Michele Mazzara nel suo patrimonio, ha riguardato anche sua moglie, Giuseppa Barone, e l’imprenditore suo prestanome Francesco Nicosia, tutti soggetti già colpiti dalla misura della sorveglianza speciale. Il lavoro di raccolta dei dati e di ricostruzione dei rapporti è stato condotto nell’arco di un breve tempo e con la massima velocità dai poliziotti del questore Salvatore La Rosa e dai finanzieri diretti dal comandante provinciale colonnello Geremia Guercia. La Cassazione infatti a fine settembre per un vizio di forma aveva liberato dalla confisca i beni di costoro e il 4 novembre scorso i giudici della Massima Corte hanno depositato le motivazioni. All’opera si sono subito messi gli investigatori specialisti nella caccia ai patrimoni nascosti, quelli della Divisione Anticrimine della Questura e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle Fiamme Gialle. La richiesta di sequestro firmata dal procuratore antimafia di Palermo Francesco Lo Voi, arricchita dagli elementi individuati da Polizia e Finanza, è arrivata lo scorso 13 novembre sul tavolo del presidente del Tribunale Andrea Genna e sei giorni dopo il presidente Genna ha firmato il decreto di sequestro urgente che ha spogliato Mazzara e soci da quel patrimonio che la Cassazione era stata costretta a restituire. Il provvedimento ha riguardato beni mobili, immobili ed aziendali riferibili ai coniugi Mazzara e a Nicosia, 61 beni immobili (tra cui 5 fabbricati, 54 terreni agricoli e 1 Albergo), 53 beni mobili registrati (di cui 12 tra autovetture – autocarri e motocicli e 41 mezzi agricoli),. 4 società con i relativi compendi aziendali (3 imprese edili e un’attività ricettiva) e 8 conti correnti bancari di varia natura per un valore complessivo pari a circa 18 milioni di euro.
Un tesoro sul quale Mazzara era riuscito a rimettere le mani, ma ha avuto poco tempo per tornare a godere delle sue possidenze e troppo poco tempo per riuscire a pensare cosa fare.
Le nuove indagini hanno messo in evidenza la pervicacia volontà di Mazzara di proseguire nella sua attività di arricchimento anche durante il periodo in cui era in corso il procedimento successivo al primo sequestro preventivo. Sotto la lente di ingrandimento sono finite nuovamente le attività delle società “Antopia”, “Spefra” la cui cassaforte era una sorta di bancomat per Michele Mazzara che sebbene non figurasse in alcun modo tra i soci, di fatto gestiva le risorse per i propri comodi affari. L’amministratore sulla carta, Francesco Spezia, per le indagini era un “pupo” nelle mani del suo “puparo”, Michele Mazzara per l’appunto, che avrebbe anche utilizzato in certe circostanze anche un suo nipote, Francesco Fabiano. La stessa moglie di Spezia, Antonella Agosta, ex vice presidente del Consiglio comunale di Buseto Palizzolo, figurava come socia, ma anche lei ubbidiva a Mazzara con il quale intratteneva pure una relazione, cosa svelata da una delle più recenti indagini che si sono concluse con ulteriore condanna a carico dell’imprenditore di Dattilo, intercettato a discutere con la donna, anche su come fare allontanare da Trapani lo Spezia per dar modo ai due di potersi tranquillamente incontrare. Anche questo un aspetto del potere che Mazzara pretendeva di esercitare. Così come nei tempi andati il capo mafia del paese decideva sul destino delle persone e delle famiglie, violandone il cosiddetto focolaio domestico ed entrando fin dentro le più recondite relazioni. Fabiano, avvocato, che nel 2012 finì sotto inchiesta, è invece citato nelle indagini come prestanome dello zio, così da potergli permettere di partecipare a gare di appalto. Tra le gare quelle per l’acquisto del villaggio turistico “Calampiso Club” di San Vito Lo Capo. Altri appalti, con lo stesso sistema, Mazzara se li sarebbe aggiudicati a Misilmeri e a Sciacca, attraverso la “Spefra”: “Fabiano – si legge nella ordinanza firmata dal presidente Genna – era valido esecutore dei voleri di Mazzara, alternativo allo stesso Francesco Spezia”. La “Spefra” poi risulta avere condotto lavori all’interno del carcere dell’Ucciardone a Palermo. Tutto questo all’ombra di Cosa nostra. Sono state infatti depositate agli atti del nuovo sequestro le intercettazioni delle discussioni intrattenute da Michele Mazzara con Giovanni Risalvato, un castelvetranese che agiva in nome e per conto del latitante Matteo Messina Denaro. Emblematico un loro dialogo: “Noi già con due parole ci capiamo! Io so che tu sei la persona giusta per me e io sono la persona giusta per te. Non c’è tanto da chiacchierare”. Un confronto tra i due che risale a quanto la “Spefra” lavorava al recupero edilizio della parrocchia di Santa Lucia a Castelvetrano. Altre intercettazioni che hanno riguardato Francesco Nicosia, hanno disvelato come Michele Mazzara fosse dietro altre iniziative imprenditoriali nella frazione di Makari (San Vito Lo Capo) e a Paceco. “Se devo parlare delle villette a Makari, c’è sempre Michele nel mezzo…Michele mi ha detto tu statti fermo non fare niente…a Paceco c’è Michele Mazzara …ne ha un 50 per cento per cui se la sbriga lui”. Nell’ordinanza si fa cenno anche alla rete di contatti in mano a Michele Mazzara e viene anche citato l’ex deputato regionale di Forza Italia, l’imprenditore Giuseppe Maurici. Rete di contatti che era perfettamente a conoscenza delle attività che Mazzara conduceva attraverso i suoi prestanomi, come Nicosia.