Mercantili affondati, cave interrate, sullo sfondo lo smaltimento di rifiuti altamente tossici

I misteri su tre navi affondate, e sulla gente che tra Marsala e Mazara continua a morire per tumore. Gli affari della mafia e alcune morti eccellenti

C’è un racconto che ancora oggi gira tra gli addetti ai lavori del porto, una storia tramandata, i protagonisti non ci sono più, ma hanno passato ai figli quello che si scoprì attorno ad uno strano affondamento. Una nave ufficialmente partita da Trapani «a mezzo carico», venne ad imbarcare marmo. Tragico l’esito che ebbe quel viaggio, quella nave fuori Trapani finì col fare naufragio, e nemmeno c’era maltempo. Nessuno perse la vita, l’equipaggio riuscì a salvarsi. Una storia rimasta non approfondita, ma sembra legarsi alle indagini sulle navi cariche di rifiuti speciali e radioattivi fatte apposta naufragare, uno smaltimento illegale camuffato da incidenti in mare. A Trapani c’è chi ricorda ancora, per averla sentita raccontare, di quella nave, vicenda che resta una «leggenda» perché mai provata. È la storia della motonave «Silenzio», 198 tonnellate, nave cargo, l’affondamento risale al 2 novembre del 1982, partita da Trapani doveva raggiungere Malta, di solito era usata per trasportare marmo, ma quando fece naufragio la stiva si disse era a mezzo carico. . Il naufragio della «Silenzio» avvenne ad est di Trapani su un fondale di 1250 metri. L’affondamento della «Silenzio» è finito nell’elenco dei naufragi italiani sospetti, ma non è il solo che riguarda da vicino le nostre coste, c’è anche il nome di un’altra nave, la «Monte Pellegrino», affondata l’8 ottobre del 1984 al largo di San Vito Lo Capo, doveva raggiungere il porto di Palermo da Porto Empedocle, nave cargo di solito impiegata per trasportare sostanze chimiche o pomice. La «Silenzio» e la «Monte Pellegrino» però forse trasportavano altro, qualcosa da non potere  dichiarare. Porti siciliani che sarebbero stati terminali di rifiuti speciali, scorie, arrivate fin qui dal centro Europa, dai Paesi dell’Est, da smaltire con gli affondamenti sui profondi fondali marini. Uno degli affari più lucrosi di Cosa nostra siciliana. Il risultato di potenti connessioni dentro i quali c’erano apparati dei servizi, accordi nascosti fra Stati garantiti nella loro segretezza dalle mafie. La Sicilia come la Calabria. Oggi si celebra il nome del capitano di fregata Natale De Grazia, morto ufficialmente per arresto cardiaco il 13 dicembre del 1995, mentre in auto percorreva l’autostrada Salerno Reggio Calabria. Era l’ufficiale che indagava sulle “navi dei veleni”. Quelle affondate dalle parti della Sicilia occidentale potrebbero esserle state.

Al largo delle coste trapanesi sarebbero affondate nel tempo altre due navi.  Una è la «River», l’altra la «Dures». Naufragi mai dichiarati, «navi fantasma». Lo scenario è sempre lo stesso, Trapani e le sue commistioni, i crocevia tra la mafia e i settori «deviati» dello Stato, la massoneria, che in altre circostanze sono emersi chiaramente nei traffici di droga e di armi. Non può essere un caso che di traffico di scorie si sono occupati a Trapani gli stessi magistrati che hanno seguito le indagini sulla presenza di Gladio (la struttura segreta del Sismi nata in funzione di contrasto al possibile pericolo “comunista”), per quintali di scorie finite sepolte nelle cave dismesse di Custonaci, Marsala, Mazara.

«Pezzi» dello Stato avrebbero trafficato con la mafia e con organizzazioni criminali a livello internazionale per smaltire illecitamente rifiuti tossici, in cambio di far transitare per gli stessi circuiti armi e droga. Nel caso trapanese si sarebbe trattato di un «patto» per fare continuare i traffici di droga e di armi che su quelle rotte si sviluppavano da decenni, prima ancora che arrivassero i rifiuti tossici da smaltire. C’è un dato particolare che non va sottovalutato. Quella di una serie di rapporti che la mafia trapanese per tempo è riuscita a intavolare con soggetti del nord Africa e arabi, terminali di questi «commerci» illegali. Contatti che secondo il pentito Nino Giuffrè, boss di Caccamo, e braccio destro del boss Bernardo Provenzano, erano nella disponibilità dei Messina Denaro di Castelvetrano, Francesco e Matteo, padre e figlio, il patriarca e il nuovo capo della mafia. Il primo morto nel 1998, l’altro latitante dal 1993.

I traffici di rifiuti speciali nel trapanese non sarebbero qui giunti solo per fermarsi, dentro le cave di tufo dismesse nella zona tra Marsala e Mazara, come ha raccontato il faccendiere e informatore dei servizi Francesco Elmo, ma Trapani potrebbe essere stato un punto di transito, per far fare ai rifiuti tossici il salto finale verso l’Africa, la Somalia. Questo traffico di scorie chimiche e radioattive si sarebbe svolto tra la metà degli anni ’80 sino al 1991/93, scorie pericolose che arrivavano trasportati da camion destinati a portare oli esausti, o su navi di diversa nazionalità.

La politica è sempre rimasta quasi in silenzio. Ci fu solo una iniziativa portata in Consiglio provinciale da un giovane politico marsalese, Ignazio Passalacqua che provò con un ordine del giorno ad alzare l’attenzione su interramenti lampo di decine e decine di ex cave di tufo tra Marsala e Mazara, in quelle zone dove ancora oggi si registra un’alta mortalità a causa di tumori. E’ un’ampia fascia di territorio dove sono presenti diverse falde acquifere. Acqua che finisce nei pozzi. Ci sono oggi tecnologie ancora più sofisticate per scoprire ciò che di pericoloso si nasconde sotto terra, ma nessuno pensa di utilizzarle, mentre la gente muore.  Mentre immense quantità di rifiuti speciali mischiati in mezzo agli scarti dei lavori edili sono stati smaltiti riempiendo le fondazioni dell’area industriale.

Cosa nostra trapanese occupandosi dello smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi, ha pagato uno dei tanti prezzi a quegli apparati che sulle mafie nel tempo hanno sempre chiuso gli occhi. Inchieste cominciate e finite nel nulla, in Sicilia come in Calabria, segreti rimasti impenetrabili, e se c’era chi era pronto a renderle note è stato ammazzato. E’ la storia del capitano De Grazia, ma potrebbe essere la storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin uccisi in Somalia nel 1994, oppure potrebbe essere la storia dell’agente del Sismi Vincenzo Li Causi, il capo centro di Gladio trapanese, morto anche lui in Somalia nel 1993, ucciso, si è sempre detto da “fuoco amico”, per sbaglio, durante lo spostamento di mezzi militari italiani durante la missione Ibis. Erano gli anni in cui i Governi finanziavano il Sismi, servizio segreto militare, per trafficare nello smaltimento internazionale dei rifiuti pericolosi, come dimostrerebbero oggi alcune lettere, rimaste solo depositate e non approfondite, nei lavori di alcune commissioni parlamentari. Di navi e commerci strani davanti alle coste siciliane scrivono anche i giudici della Corte di Assise di Trapani nella sentenza che ha condannato all’ergastolo il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, quale mandante del delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Una sentenza che ha scritto una approfondita pagina di storia criminale che ha avuto come fulcro la provincia di Trapani, ma che ha interessato forse nemmeno soltanto la Sicilia. Una sentenza dalla quale si possono trarre spunti per far ripartire quelle indagini che qualche “manina” a suo tempo è riuscita a fermare.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.