Umiliati e maltrattati VIDEO

Mazara: i Carabinieri dei Ros stanno sentendo i 18 pescatori di Antartide e Medinea tornati oggi in porto dopo 108 giorni di prigionia a Bengasi. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine

“Sono stati lunghi giorni di tensione e paura – racconta il comandante del Medinea Pietro Marrone – ci hano tenuto rinchiusi in celle anche sottoterra, ci hanno divisi tra di noi, abbiamo almeno cambiato quattro carceri, non so cosa ci davano a mangiare. Non ho subito violenze fisiche ma mentali, violenze psicologiche, credevo che non saremmo tornati liberi, tanta era la paura”. Questa l’intervista rilasciata all’Adnkronos da due dei marittimi, Giri Indra Gunawan e Samsudin Moh, indonesiani: “Ogni mattina, poco dopo le sei, battevano i pugni forte contro la porta per svegliarci – dice Gunawan – Non la smettevano più. Era un tormento. Quando gli chiedevamo quando avremmo lasciato la prigione allargavano le braccia e ci dicevano Solo Dio lo sa. Poi andavano via. Ho avuto tanta paura. Non tanto di morire ma di non potere più tornare nel mio paese”. “E’ stato terribile – racconta – ci hanno fatto cambiare prigione tre volte”. Gli stranieri non sono stati tenuti insieme con gli otto pescatori italiani. “Ci hanno divisi dopo un po’ di giorni – racconta Giri – ci hanno portato in tre posti diversi”. Ma per una settimana sono rimasti sulla barca, solo gli stranieri. “Gli italiani erano altrove – racconta – ma non lo sapevamo. Poi ci siamo riuniti”. I tunisini sono stati portati in un altro posto ancora. Giri parla soprattutto di “violenze psicologiche”. “Non ci hanno picchiato”, racconta. “Però ci umiliavano e ci facevano delle angherie- spiega – non ci dicevano mai niente sulla nostra prigionia”. Ma cosa ricevevano da mangiare? “La mattina un panino piccolo – racconta – poi a pranzo del riso o dei maccheroni e a volte del pollo. E per cena non sapevamo cosa ci dissero. Ho odorato una volta quell’intruglio e credo che ci fosse del curry. Ma non so dire che cibo fosse”. Un’altra violenza psicologica riguarda i bisogni fisiologici. “Ci davano al massimo dieci minuti per potere andare al water – racconta con gli occhi ancora impauriti – non potevamo restare di più, altrimenti ci facevano uscire. E’ stato tremendo”. Il contratto di lavoro dei due indonesiani è scaduto lo scorso 26 novembre. “Adesso, dopo la quarantena torneremo in Indonesia – dice Samsudin – qui non abbiamo più un contratto e siamo costretti a tornare nel nostro paese”. Nei 108 giorni di prigionia, Giri è diventato “ancora più religioso”. L’uomo è musulmano. “L’unica nota positiva di questa esperienza – racconta – è che ho pregato tanto, sono ancora più religioso”.
“Ci hanno trattato malissimo – dice Onofrio Giacalone – abbiamo dormito a terra e abbiamo avuto tanta paura”.

Gli interrogatori andranno avanti fino a più tardi, fino ad ora sono stati quattro dei 18 pescatori. Gli altri tra domani e martedì.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.