Custonaci, l’arresto di Costa in una intercettazione Caterina Culcasi, moglie del killer ergastolano Vito Mazzara rivela di essere perfettamente a conoscenza delle dinamiche mafiose. Il ruolo di Paolo Magro
La ordinanza di arresto eseguita contro il custonacese Giuseppe Costa evidenzia il fortissimo legame tra Costa e la famiglia mafiosa dei Virga di Trapani. A parte il fatto, già provato giudiziariamente, che Costa si mise a disposizione per il sequestro nel 1993 del piccolo Giuseppe Di Matteo, proprio su richiesta del campo del mandamento di Trapani, Vincenzo Virga, e questi si era dato da fare per obbedire al volere dell’attuale latitante Matteo Messina Denaro, ci sono altri elementi che provano come Costa nonostante detenuto riusciva a tenere una corrispondenza con Franco Virga, figlio di Vincenzo, e che tornato libero aveva preso dentro Cosa nostra il posto che era stato del padre. Un rapporto epistolare che Costa riuscì a tenere con Virga attraverso un suo fidato amico Paolo Magro, sulla cui figura gli investigatori si soffermano anche su altri episodi di interesse della cosca mafiosa di Custonaci. Magro nel provvedimento è indicato come soggetto vicino alla famiglia mafiosa dei Virga, In una intercettazione è proprio Franco Virga a svelare quella segreta corrispondenza. Nelle sue lettere dirette all’amico Paolo Magro, Costa quando si riferiva a Franco Virga lo indicava come “Gerardo”: “Si scrivevano tutti e due e quando gli parlava di me metteva Gerardo”. Interessi nel campo delle aziende olearie emergono poi nel prosieguo delle stesse intercettazioni. Cosa nostra voleva costringere un imprenditore, tale Fodale, a cedere il suo oleificio e di questo affare addirittura i fratelli Virga, Pietro e Franco, ne discussero nei primi giorni del settembre 2017 con Costa durante la sua festa di addio al celibato. festa che pare essere stata organizzata nella casa di proprietà di Costa e dove per un periodo fu tenuto sotto sequestro il piccolo Di Matteo. “Bisogna andare con la pistola…e gli dici qualche cosa…sto cornuto ci prende in giro”. E nella ipotesi di tentativi da parte dell’imprenditore di sottrarsi alle pressioni mafiose, la soluzione la propone senza esiti da Pietro Virga, “ci buttiamo quattro bidoni di nafta, lì di benzina, dentro l’oleificio”. Pietro Virga non è nuovo a questi atti criminali, negli anni ’90 tentò di mandare a fuoco l’impianto di riciclaggio dei rifiuti di contrada Belvedere a Trapani, dopo che questo impianto era stato sottratto ad una società controllata proprio dai Virga. Virga con suoi complici riempì di benzina il piazzale dell’impianto, fu accesa una miccia e si allontanarono. Inutilmente attesero il propagarsi delle fiamme stando lontano. Le fiamme non si svilupparono perché nel frattempo la Polizia che li teneva sotto intercettazione, aveva saputo del loro piano. Dietro i capannoni dell’impianto c’erano i poliziotti e i Vigili del Fuoco nascosti, non appena Virga con i suoi complici si allontanarono, il piazzale fu allagato dagli schiumogeni evitando così che la miccia desse fuoco alla benzina. Ma l’aspetto più clamoroso riguarda la vicenda che tocca una impresa di produzione di calcestruzzo, la Barone con sede a San Vito Lo Capo. La ditta Barone è stata oggetto di una animata e accesa discussione tra Costa e sua zia, Carmela Culcasi, moglie del boss ergastolano, riconosciuto killer della mafia trapanese, Vito Mazzara. L’azienda Barone, creata da Salvatore Barone, oggi defunto ma che fu condannato per associazione mafiosa, sembra essere stata sempre all’interno delle dinamiche mafiose, ma la gestione da parte dei figli del Barone, Leonarda ed Andrea non sia risultata gradita al clan mafioso, che si mosse addirittura per venderla, al fine di ottenere importante liquidità. Dipendente di questa azienda Paolo Magro, l’amico fidato di Costa, che si sarebbe occupato di raccontare l’attività dell’azienda nei suoi particolari. E a interessarsi della vendita dell’azienda proprio Giuseppe Costa. C’è una intercettazione della Dia: ad essere ascoltati Costa e sua zia, Carmela Culcasi. La moglie del boss Vito Mazzara appare perfettamente a conoscenza degli affari della cosca, ed è stata sentita parlare anche con una certa autorevolezza. Costa le dice che l’azienda Barone non ha grande introiti e quelli che ottiene servono a stipendiare Gasperina Campo, la vedova di Barone e di stipendiare i due dipendenti, tra cui Paolo Magro. La Culcasi rispetto a quanto racconta il nipote però si infervora parecchio, lamenta gli stipendi pagati alla Campo, come se fosse lei a decidere chi pagare e chi no: “Il resoconto di anni fa…non hanno mai dato alcun resoconto…C’erano i periodi belli che lui però…”. Costa fa presente che ha parlato con i Barone ricordando gli impegni presi con la cosca: “Zia aspè ma perché non avete parlato prima Porco di un cane assassino io mi sono fatto il carcere”. E comunque l’assicura che a Pietro Virga i Barone avevano consegnato il rendiconto degli ultimi 20 anni. Solo che Virga quel rendiconto non lo ha potuto consegnare perché nel frattempo arrestato nell’operazione Scrigno. Costa aveva lasciato la zia dicendo che a giorni incontrava Pietro Virga, incontro però che non è mai avvenuto per il blitz antimafia. Nello stesso colloquio con la zia Costa svelava le “spiate” che gli passava l’amico Paolo Magro: “Io sono tre anni che li tengo d’occhio …perché c’è quello Paolo che mi racconta tutte cose2. In un0altra intercettazione venivano ascoltati proprio Costa e Magro. Quest’ultimo lamentava di essere stato ripreso da Andrea Barone, allorquando Magro direttamente si interessò a incassare da un imprenditore (tale Betto u cittaro) il corrispettivo di una fornitura: “Piglia e lui minchia si è incazzato mi ha detto non capisco perché lui ha telefonato a te…”. Costa commentava dicendo che quel comportamento era la conferma che Barone voleva occultare loro i ricavi: “ammuccia ammuccia e tutto appare. hai capito com’è il discorso?”.