Nella giornata di oggi, in cui è doveroso ricordare tutte le vittime dell’Olocausto ad opera nazi-fascista, un altro triste evento merita di essere annoverato: la strage della casermetta di Alcamo Marina.
Fare memoria, a distanza di quarantacinque anni dalla notte tra il 26 e 27 gennaio del 1976, in cui vennero barbaramente assassinati i due Carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, in servizio presso la casermetta di Alcamo Marina, risulta un dovere civico e morale per tutta la comunità. A maggior ragione se su questa azione criminale non è stata ancora fatta chiarezza, e quindi giustizia.
Gli interrogativi senza risposta sui mandati e i colpevoli della strage sono ancora tanti. Così come sono diverse le piste battute, dagli inquirenti, all’indomani della strage: gruppo estremista delle brigate rosse, gruppi anarchici indipendentisti, servizi segreti, gladio e mafia. Forse la verità è insita in una di queste ipotesi, magari con il tacito assenso da parte di alcuni mafiosi locali. La ricerca della verità sulla vicenda, però, si è andata sempre più ad affievolire con il corso del tempo.
Una svolta “tardiva” arriva nel 2012, dopo un tortuoso iter processuale, con il pronunciamento della Corte d’Appello di Reggio Calabria. I magistrati, nella sentenza, si sono espressi su chi non risulta colpevole della strage. Da quella sentenza, nulla più.
Negli anni successivi, ricercare la verità sulla strage sembra sia passato in secondo piano, con il rischio di far scivolare nell’oblio la morte dei due servitori dello Stato. Un oblio non accettabile per l’intera comunità, un oblio che rischia di uccidere due volte Carmine e Salvatore. Fare memoria e collaborare nella ricerca di giustizia, oggi più che mai, è un obbligo morale per tutti. Nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, ma siamo tutti colpevoli senza il raggiungimento della verità.
La storia ci ha spesso consegnato delle ingiustizie a cui, forse, solo il tempo e un po’ di coraggio potranno ristabilire verità e giustizia.