Il caso della ragazza che ha denunciato la violenza subita dal “branco”: quando i giornalisti dimenticano gli obblighi deontologici
E’ un caso che avrebbe dovuto sollevare tanta indignazione, quello che ha visto per sfortunata protagonista una ragazza diciottenne di Campobello di Mazara che ha denunciato alcuni mesi addietro una violenza subita durante una festicciola dal alcuni suoi coetanei che hanno agito come un “branco” di animali che attaccano la loro preda. Le indagini condotte dai Carabinieri e coordinate dalla Procura di Marsala sono durate alcuni mesi, perché dopo la denuncia della ragazza gli investigatori hanno lavorato duro per trovare ulteriori prove e lo hanno fatto anche attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali. Prove raccolte ritenuti sufficienti dal giudice delle indagini preliminari a firmare una ordinanza per la esecuzione di quattro misure cautelari. E invece la vicenda somiglia a tante altre del genere, la vittima per quanto si è letto su qualche giornale e sito on line diventa quasi la colpevole, attraverso anche la descrizione di uno scenario familiare così puntiglioso quasi a far cadere gli obblighi che la deontologia impone a noi giornalisti, cioè quello di tutelare la vittima. Una storiaccia in partenza, la ragazza invitata da “amici di vecchia data” ad una festicciola, che decide di appartarsi con uno di essi e con questi che ad un certo punto le fa la proposta indecente di far partecipare a quel loro incontro anche gli altri amici. Amici che si disvelano essere un vero e proprio “branco” capace in maniera animale di assaltare la “preda”. La ragazzina però ha deciso subito di rivolgersi ai Carabinieri, accompagnata da un familiare (e qui la prima violazione si indica il grado di parentela), e mentre presenta la sua denuncia dai Carabinieri dopo una telefonata si presenta il padre, accompagnato dai ragazzi denunciati, per dire che la figlia quella sera era rientrata ubriaca a casa e quindi non era vero ciò che stava denunciando, parole dette con la convinzione di conoscere i ragazzi e di non crederli capaci della violenza contro la figlia. Le parole del padre sono venute stampate sui giornali, virgolettato preso dalla ordinanza del gip, senza dire quanto però dopo è successo. Ieri la Procura di Marsala ha diffuso una nota alla stampa che però da certi siti non è stata nemmeno presa in considerazione. La riproponiamo: “Dopo un primo momento di incredulità dovuta alla gravità del fatto, il padre ha mostrato piena solidarietà alla figlia e ha collaborato con gli inquirenti ai fini dell’accertamento dei fatti”. Anzi, invece di scrivere quanto ha detto il procuratore Vincenzo Pantaleo, ancora una volta dall’ordinanza si prende a piene mani ciò che a casa della ragazza si diceva dell’accaduto, adesso dopo il papà anche la mamma della ragazza. Con l’aggiunta a questo punto anche dei nomi degli indagati. Come se non scrivendo il nome della ragazza si stiano rispettando gli obblighi deontologici. Niente affatto. In un piccolo centro come Campobello di Mazara, cioè il luogo dove la ragazzina debba essere maggiormente tutelata, a questo punto non è difficile comprendere di chi si stia parlando, cioè chi è la vittima che però, per come sarebbero andati i fatti, diventa la colpevole, colpevole di avere tenuto comportamenti leggeri, che sono roba sua e non di altri. E invece ecco che certi giornalisti diventano censori, censori del comportamento della ragazza e quindi pronti a giustificare, tra le righe, il “branco”. Ma come? Diciamo e scriviamo tante volte che le donne devono denunciare le violenze in qualsiasi ambito subite, e quando questo avviene, quando c’è la denuncia, invece di esprimere solidarietà e sostegno, mettiamo in dubbio il racconto? Travolti da una morbosa curiosità se ne svelano certi dettagli per fare apparire come ragazzi fin troppo per bene quelli arrestati, e chi non è per bene sarebbe proprio la giovane diciottenne. Poco spazio ha avuto il lavoro investigativo dei Carabinieri, quelle intercettazioni condotte per alcuni mesi, se si ha l’ordinanza in mano queste cose sono riportate, ma hanno avuto poca attenzione, meglio buttarsi su altro. E una storia complessa finisce con il diventare semplice semplice, la ragazza si è inventata tutto e per sostenere questo si citano le discussioni con i suoi familiari. E la ragazzina dopo avere subito la violenza del “branco” finisce con il diventare la colpevole da portare al macello. Tanto che uno degli arrestati a questo punto ritiene di mettersi a scrivere su Facebook (ma se è ai domiciliari come può usare il social network?) per attaccare chi lo accusa. Conosciamo bene Campobello di Mazara, un paesino del Belice, ,sula carta 11 mila abitanti ma i residenti sono di meno, ed è il classico posto
dove certe notizie corrono più di altre e prima che magari le forze dell’ordine ne abbiano conoscenza, e certuni ritengono che i fatti spiacevoli vadano risolti senza intrusi. Questo può essere successo, ossia che qualcuno, possa avere avvicinato il padre della ragazza per convincerlo che la figlia era così ubriaca quella sera in cui ha detto di avere subito la violenza, da non capire nulla. Tutto questo con la speranza di far finire la denuncia in una bolla di sapone e salvare dal carcere il “branco”, lasciando da sola la ragazzina. Cosa che è ugualmente accaduta grazie ad una certa cronaca. Tanto da insorgere il sospetto che dietro la pubblicazione puntigliosa di una parte dell’ordinanza del gip, si possa nascondere anche una strategia difensiva riuscita ad avere come spalla alcuni organi di informazione. E’ bastato che un sito locale mettesse in linea lo “scoop” del padre che difendeva i ragazzi, per far finire il caso sotto l’attenzione di quotidiani nazionali. Non è la prima volta che ciò accade, come leggiamo per altre analoghe storiacce, la donna oggetto di abusi deve spesso sforzarsi per non diventare essa stessa colpevole, ma ogni volta che questo accade è un passo indietro di inciviltà che tutti compiamo.