L’Ospite: la riflessione ad alta voce dopo il caso Brusca
di Salvatore Inguì*
Conosco bene lo strazio, il dolore, la sofferenza di tanti familiari di vittime, di innocenti delle mafie. So bene cosa intendono dire quando dicono “Noi siamo i veri condannati all’ergastolo, non i nostri assassini, perché gli assassini scontano una galera che molto spesso non è vero essere con “un fine pena MAI”, mentre la nostra sofferenza è veramente con “un fine pena MAI”. Lo so, perché sono molto vicino a molti di loro, conosco bene molti di loro, mi sento quasi un parente di molti di loro e quindi in questi giorni alla notizia che un assassino, un criminale, sanguinario uomo di mafia come Giovanni Brusca che, dopo 25 anni di carcere, per aver collaborato con la giustizia viene rimesso in libertà, produce una sofferenza in più a tante di quelle persone a cui proprio lui ha sottratto la vita di tanti cari. E quindi comprendo l’indignazione di questi familiari e anche l’indignazione di tanta gente onesta che in questo momento protesta contro quella che viene considerata un’ingiustizia e che induce a ritenere che lo Stato italiano sia un Paese senza spina dorsale, incapace di punire severamente chi si macchia dei peggiori crimini.
All’interno dell’associazione della quale faccio parte, “Libera”, su questo punto, sulla scarcerazione di Brusca ha tra i suoi soci, diverse posizioni. Tutte giuste e tutte dette col cuore e nessuna frutto di una manipolazione o di un condizionamento gerarchico. Ogni singolo appartenente a questa associazione produce un suo pensiero che compartecipa. So bene che certe posizioni sembrano in antitesi con quelle di altri associati, ma la nostra associazione è bella proprio per questo, perché consente un grande pluralismo all’interno e nessuno ordina il pensiero degli altri.
Brusca Giovanni accusatosi di oltre 150 omicidi tra cui quello efferato (come se gli altri non fossero ugualmente efferati), ma quello che sicuramente ha fatto più impressione sull’opinione pubblica oltre alla strage di Capaci e all’omicidio di Giovanni Falcone, è sicuramente l’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, poi sciolto nell’acido.
Ecco, Giovanni Brusca detto dai suoi stessi accoliti u Verru, il maiale, il porco, ad indicare quanto fosse crudele e quanto fosse laido questo personaggio, su cui non intento spendere elogi di nessun tipo e per quello che conosco di lui non posso che far sentire, attraverso le mie parole, tutto il mio disprezzo per le sue azioni e l’onda di indignazione nazionale è un bene che giunga forte e travolgente a lui proprio perché possa sentire quello che pensa di lui, e della gente come lui, l’Italia (e non solo l’Italia) intera. Tutto il disprezzo per chi ha impiegato la propria vita a fare del male agli altri.
Ma devo anche ricordare che la legge sui cosiddetti pentiti, che sarebbe più logico chiamare “collaboratori di giustizia” è una legge necessaria e voglio dire guai a chi la tocca, guai a chi la mette in discussione, perché la legge sui pentiti, ma meglio ancora sui collaboratori di giustizia è quella che ci consente oggi di avere quelle conoscenze su Cosa Nostra e sulla mafia che abbiamo potuto, soltanto negli ultimi 30 anni, poter scrivere nero su bianco e che prima di allora non era consentito neanche avere certezza che la mafia esistesse.
L’assenza di una legge sul pentitismo e sul collaborazionismo ha fatto sì che il primo grande vero pentito (ribadisco “pentito”) siciliano, Leonardo Vitale, che già anni e anni prima di Buscetta, aveva dichiarato le stesse identiche cose delineando con precisone quell’organigramma mafioso che sarebbe stato poi confermato appunto nel maxi processo alla mafia, voluto tra gli altri anche da Falcone Borsellino. Ecco, quel Leonardo Vitale che non è stato neppure preso in considerazione se non per i reati di cui lui stesso si accusò, finì considerato pazzo in un manicomio criminale e dopo la sua uscita, come nel costume della mafia, fu ucciso.
Ecco, quel Leonardo Vitale che parlò probabilmente in preda a una crisi mistica, che comunque sembrò realmente pentito, ma che certamente collaborò seriamente con gli inquirenti di allora, tanto da fornire tutti i dettagli su azioni omicidiarie, ma soprattutto su cosa fosse la mafia, su cosa fosse Cosa Nostra, non aveva nessuna cornice legislativa di riferimento e fu trattato alla stregua di un folle. Togliere dalla legge su i Collaboratori di giustizia i benefici (e il massimo beneficio non può che essere lo sconto di pena e quindi l’anticipazione della libertà), togliere questi benefici, è chiaro, significa svuotare di contenuto, di senso, la legge e finire per non consentire più, e non favorire più, e non solleticare più il mafioso condannato al carcere e anche al carcere a vita, di fare un calcolo cinico, strategico, bieco, tornacontista che è anche quello di poter collaborare con la giustizia. E poco mi interessa, a questo punto, se questo avviene perché il pentimento è reale, sincero, sentito. Io questo non sarò mai in grado di stabilirlo, se questo pentimento c’è o non c’è, ma posso contare su un fatto oggettivo, cioè la collaborazione con la giustizia e quindi lo svelamento di fatti e misfatti, la delazione di nomi, l’indicazione di mandanti, di killer, di fiancheggiatori. Ecco, questo interessa nella lotta contro la mafia. E capisco che emotivamente, sentimentalmente, con il cuore, con l’istinto, con la pancia a molti di questi personaggi noti come mafiosi, ognuno di noi come minimo, augurerebbe che venissero gettate le chiavi e fatti, come molti hanno già espresso, marcire in galera, ma la lotta alla mafia, si è dimostrato, non può avvenire con una diversa impostazione, che non sia emotivo-sentimentale, ma sia soprattutto razionale, dove l’emotivo e il sentimentale sono la passione, perché questa lotta, questa guerra continui ad essere condotta, ma che la strategia sia razionale e la legge sui pentiti e i collaboratori delle mafie è una legge non basata sull’emozione, sul sentimento, ma sulla ragione, sulla razionalità e sugli effetti che questa ha prodotto sulla visibilità concreta che il fenomeno del pentitismo, il fenomeno della collaborazione, ha assestato i colpi più duri alla mafia.
Ma questo aspetto già da tanti posto in evidenza conduce ad un altro; cioè oltre ai vantaggi di tipo giudiziario, vi è un altro vantaggio nella lotta contro la mafia dovuto al pentitismo e alla collaborazione dei mafiosi, ed è forse il colpo più importante, il colpo ferale, quello che sgretola il mito del duro uomo d’onore, incrollabile, forte, tenace imperturbabile, che non lo piega niente, che non ha paura di niente e di nessuno. Il vero colpo alla mafia viene dato al suo interno da quegli uomini della mafia, compresi i grandi capi della mafia di cui la cronaca ci ha già raccontato che una volta giunti in galera hanno deciso di collaborare. Ecco, questo è un colpo durissimo all’immaginario collettivo del mafioso, soprattutto in quelle frange popolari dove l’uomo d’onore è un mito, dove l’uomo d’onore è ancora un’immagine santificata, beatificata, da imitare.
Il pentitismo e la collaborazione di questi uomini di onore fa sì che rendano al pubblico, l’immagine di ciò che realmente sono, quindi soggetti vigliacchi, felloni, incapaci in realtà di nessun codice di onore, pronti a tradire tutto e tutti, quindi questo comportamento mina alla base le fondamenta della onorata società e questo colpo è un colpo che dobbiamo continuare a far sì che la mafia subisca. E ciò è possibile proprio grazie alla legge sui pentiti e sui collaboratori di giustizia. Probabilmente oggi, cercare di modificare la legge sui pentiti, cercando di abrogare tutte quelle possibilità di vantaggio in termini di concessioni, sconti di pena, anticipazioni di ritorno in libertà, non farebbe altro che mettere in crisi la possibilità reale, concreta che i mafiosi, una volta arrestati, possano decidere di tradire l’onorata società e, al fine di ottenere propri vantaggi, iniziare a collaborare. Ebbene, probabilmente queste modifiche di legge, anzi forse proprio tutta la soppressione della legge o comunque per quelle parti che consentono di favorire la delazione probabilmente o sicuramente, è proprio ciò che la mafia vuole.
*Coordinatore provinciale di Libera Trapani