Nel paese di Torretta lo snodo dei pizzini di Messina Denaro. Le intercettazioni svelano affari e contatti. Il ritorno dei mafiosi usciti perdenti della guerra di mafia degli anni Ottanta. Un boss ricercato negli Usa
Di Salvo Palazzolo
C’è un gran via vai fra New York e Palermo. Il 27 settembre di tre anni fa, arrivò un esponente del clan Gambino all’aeroporto Falcone e Borsellino. Venne accolto con tutti gli onori da un gruppo di mafiosi, lo accompagnarono nella bella villa di Mondello che avevano affittato per lui. Villa con piscina. In camera da letto, c’era un regalo per l’illustre ospite: 5 grammi di cocaina. L’ultima indagine dei carabinieri del nucleo Investigativo coordinata dalla Procura di Palermo, che stanotte ha portato a 10 arresti, racconta la riorganizzazione mafiosa che corre fra la Sicilia e gli Stati Uniti. Non è una novità, è un drammatico ritorno al passato, che porta il nome di un paesino alle porte di Palermo: Torretta. Lì dove continua ad essere operativa una famiglia mafiosa che da sempre ha forti relazioni con Cosa nostra americana. Dopo la morte di Totò Riina, il capo dei capi, ancora di più. Perché i “torrettesi” fanno parte del mandamento mafioso palermitano di Passo di Rigano, uscito perdente della guerra di mafia degli anni Ottanta. Chi non fu ucciso dai Corleonesi, dovette andare in esilio negli Usa. Ma la storia mafiosa di Palermo è già cambiata. E l’asse con New York è tornato forte, questo racconta l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Amelia Luise (di recente passata alla procura europea) e Giovanni Antoci.
I carabinieri hanno intercettato i “torrettesi” al telefono con Frank Calì, “Frankie Boy”, il capo della famiglia Gambino. Quando il padrino italo americano venne ucciso, il 13 marzo 2019, gli investigatori sentirono in diretta la fibrillazione fra le due sponde dell’oceano. Solo dopo qualche ora, i boss si tranquillizzarono: non c’era nessun traditore in famiglia, Frankie Boy era stato ucciso da un balordo. Dice il generale Arturo Guarino, il comandante provinciale del’Arma: “L’indagine dimostra la persistenza di intense relazioni con la mafia italo-americana, un legame che costituisce una chiave di lettura del fenomeno criminale che attraversa generazioni e resta un elemento di reciproca forza identitaria ed influenza operativa”.
I pizzini di Messina Denaro
In manette è finito Raffaele Di Maggio, ritenuto al vertice della famiglia di Torretta. A coadiuvarlo nell’incarico, Ignazio Antonino Mannino e Calogero Badalamenti. Un ruolo particolare avrebbe svolto Lorenzo Di Maggio, detto “Lorenzino”, tornato in libertà nel 2017: il pentito Antonino Pipitone lo accusa di essere stato il “raccoglitore” dei messaggi diretti a Matteo Messina Denaro.
“Gran parte dei pizzini sia della provincia che dei mandamenti di Palermo che dovevano arrivare al superlatitante arrivavano sempre a lui”, ha spiegato il collaboratore di giustizia. “I biglietti gli venivano consegnati o presso la sede dell’Amat (l’azienda trasporti di Palermo – ndr) dove lavorava come impiegato, oppure a casa della madre”. Pipitone ha svelato che i pizzini venivano poi consegnati da Di Maggio a Calogero Caruso, “il quale a sua volta li consegnava a Campobello di Mazara, utilizzando l’auto del Comune di Torretta dove Caruso all’epoca lavorava”.
In manette sono finiti pure Filippo Gambino, Giovanni Angelo Mannino, Francesco e Natale Puglisi. Ai domiciliari, Calogero Caruso, detto “Merendino”. Obbligo di dimora per Paolo Vassallo. E’ invece ricercato Calogero Christian Zito, che vive negli Stati Uniti.
L’emissario dei Gambino
Furono gli imprenditori Puglisi a curare l’accoglienza dell’emissario di Cosa nostra americana. La missione dell’ambasciatore dei Gambino era finalizzata ad organizzare nuovi affari. Ma anche a mettere ordine nella famiglia di Torretta, attraversata da alcuni dissidi negli ultimi tempi. L’ospite venne accompagnato prima a Baucina, per incontrare un italo-americano su cui il giudice Falcone aveva già indagato all’inizio degli anni Novanta, quando Torretta era al centro di un grande traffico di droga fra la Sicilia e gli Stati Uniti. Poi, l’emissario fece un lungo incontro con il capomafia Raffaele Di Maggio. Il 4 ottobre, ripartì per New York.
Fonte repubblica.it