L’Ora edizione straordinaria: la scomparsa di Mauro De Mauro
di Francesco La Licata
E’ stato detto e scritto più volte, anche da autorevoli osservatori della nostra storia recente, che la vicenda del giornalista de L’Ora Mauro De Mauro, sequestrato dalla mafia il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato, né vivo né morto, rappresenta uno dei primi grandi “buchi neri” della Prima Repubblica e quindi della giovane e debole democrazia postfascista.
E non v’è dubbio, come ha dimostrato anche la vicenda processuale che non ha chiarito quasi nulla, che il mistero della scomparsa del giornalista sia da annoverare, al pari di vicende come lo stragismo fascista, il “fenomeno” Salvatore Giuliano e molti avvenimenti tragici legati a mafia e terrorismo, fra le verità negate del nostro difficile dopoguerra. Troppi interventi esterni,
negli anni, si sono adoperati per alzare cortine fumogene che riuscissero a nascondere ogni verità. A cominciare dalle prime indagini sulla scomparsa di De Mauro che tendevano quasi a trasformare la vittima e il suo ambiente (il Giornale L’Ora soprattutto) in oggetto di interessate ipotesi poliziesche. Non
è esagerato affermare, come si può facilmente desumere da un’attenta osservazione delle carte giudiziarie, che l’inchiesta scaturita dal sequestro ad un certo punto abbia offerto lo spunto agli investigatori di allora per tentare una delegittimazione
de L’Ora, un foglio che dava parecchio fastidio al sistema di potere
finanziario, politico e mafioso di quegli anni.
Questo valeva per una parte degli investigatori e precisamente per l’Ufficio politico della Questura, ma non per la squadra mobile e in particolare per il commissario Boris Giuliano, che sull’affaire De Mauro dimostrava di avere le idee chiare. Prima respingendo l’ipotesi avanzata dai carabinieri secondo cui il giornalista era finito vittima di mafiosi perché aveva scoperto dove avveniva lo sbarco in Sicilia della droga proveniente dal Nord Europa.
Ipotesi completamente priva di riscontri, ma che servì a stoppare il filone investigativo che portava al grande affare internazionale del petrolio di Enrico Mattei e, dunque, all’attentato che aveva ucciso il presidente dell’Eni, attentato camuffato da incidente aereo e preparato non senza l’attiva partecipazione di servizi segreti
italiani e stranieri. De Mauro aveva ricostruito gli ultimi giorni in Sicilia di Enrico Mattei e avrebbe dovuto approntare una “scheda” per il regista Francesco Rosi che gli aveva commissionato la ricerca nell’ambito del film che si apprestava a girare appunto sul “caso Mattei”.
Ma Boris Giuliano dovette abbandonare l’indagine per l’ingerenza (raccontata da lui stesso a un magistrato del Tribunale di Palermo) del servizio segreto italiano che “consigliò di lasciar perdere” quella pista. Anche se Giuliano nutriva più di un sospetto sul “mondo” che ruotava attorno al sequestro. Un “mondo” in qualche modo descritto dall’atteggiamento del cav. Nino Buttafuoco, commercialista della Palermo bene e consigliere di personaggi del calibro dei cugini Salvo, grandi esattori e politici dc, e dell’avv. Vito Guarrasi gran consigliori della politica e della finanza siciliane.
Anche la seconda “grande pista”, quella che portava al tentato golpe del comandante Valerio Borghese, non appariva a Boris Giuliano sufficientemente sorretta da riscontri.
Il vero filo che il commissario (non era ancora vicequestore) seguiva era appeso alla figura ingombrante del rag. Nino Buttafuoco, autore di un gioco spregiudicato che poteva portare avanti soltanto chi avesse un interesse quasi personale nella vicenda di Mauro De Mauro. Il cavaliere, infatti, sempre in grande sfoggio di eleganza anche un po’ barocca e di gentilezza affettata, si era presentato spontaneamente alla famiglia del giornalista proponendosi come mediatore nel tentativo di riportare a casa il sequestrato. Era una sceneggiata spregiudicata, appunto, perché il vero scopo era quello di carpire informazioni sulle indagini e sui sospetti, in particolare, di Boris Giuliano e Bruno Contrada che lo controllavano notte e giorno. Questo “gioco” Buttafuoco lo pagò, ma non abbastanza da farlo parlare. Venne arrestato, ma troppo presto liberato dalla magistratura per mancanza di indizi.
Di Buttafuoco si riparlerà qualche anno dopo. Non si sa come, Boris Giuliano seppe di una mega operazione finanziaria (si parlò di 70 miliardi di lire degli Anni Settanta) compiuta da Nino e Ignazio Salvo, di cui si poteva trovare traccia nella cancelleria del tribunale civile di Palermo. Aveva saputo anche che a luglio del 1970 De Mauro si era fatto accompagnare da Buttafuoco in cancelleria
(il cavaliere era anche il suo commercialista) e con l’aiuto di un impiegato era riuscito a trovare l’atto che gli era stato descritto come prova della strana operazione finanziaria. A settembre scompare, dopo un braccio di ferro col ragioniere che tenta di dissuaderlo dal pubblicare qualunque cosa. Una vera e propria guerra con Buttafuoco, tanto da indurre De Mauro a farsi negare al
telefono, come dimostra la testimonianza della signora Elda, moglie del giornalista.
Buttafuoco appare quasi disperato e teme lo scoop di Mauro. Queste non sono illazioni, ma fatti raccontati da un testimone affidabile e di sicura attendibilità: l’ex direttore del Giornale di Sicilia, Roberto Ciuni (anche lui assistito da Buttafuoco nella dichiarazione dei redditi). Un teste che non ha esitato a confermare l’eccitazione di quel periodo di Buttafuoco e la causa di quella preoccupazione, cioè l’aver aiutato De Mauro nella ricerca in Tribunale. Timore ed eccitazione che forse spiegherebbero l’azzardo di provare persino a recuperare quelle carte compromettenti. Arriva a chiedere alla signora Elda: “E’ stata trovata una busta gialla?”. Chiede notizie su tutto ciò che la polizia aveva sequestrato nelle perquisizioni effettuate a casa di De Mauro e al giornale L’Ora.
Su questa vicenda Boris Giuliano fece due rapporti alla magistratura. I dossier sono agli atti del processo, ma allora non ebbero seguito. Qualcuno obietta che non vi sia, in questo filone investigativo, un movente all’altezza dell’importanza dell’affaire De Mauro. Ma l’indagine di allora faceva riferimento ad una sorta di costituzione di fondi neri (coi 70 miliardi sfuggiti al fisco) per il sovvenzionamento occulto della politica. Una specie di “Tangentopoli” ante litteram. Potrebbe essere un buon movente, vent’anni prima del “terremoto” che disintegrerà la Prima Repubblica.