Processo Cutrara: sentito ancora il maggiore Del Sole, teste il maggiore Carluccio che indagava sui boss di Sciacca
L’investigatore dei Carabinieri maggiore Giuseppe Del Sole ha terminato oggi la sua lunga deposizione dinanzi al Tribunale di Trapani – presidente Agate, a latere i giudici Bandiera e Restivo – che sta giudicando gli indagati coinvolti nell’operazione antimafia “Cutrara” che riguardò essenzialmente Castellammare del Golfo e la riorganizzazione della locale cosca mafiosa nelle mani del “padrino” Ciccio Domingo detto “Tempesta”.
Nell’udienza di oggi l’ufficiale dell’Arma, che all’epoca delle indagini dirigeva il nucleo operativo provinciale dei Carabinieri di Trapani, ha risposto alle domande delle difese degli imputati. Tra i particolari emersi quello che l’imputato Felice Buccellato, ultraottantenne, e oggi agli arresti domiciliari, potrebbe non essere il nipote del mafioso Cola Buccellato, ucciso molti anni addietro nella faida castellammarese. La questione è stata posta dal difensore di Buccellato, l’avvocato Aurelio Cacciapalle: il legale ha chiesto al maggiore Del Sole sulla base di quali acquisizioni si era dedotta questa parentela, l’investigatore ha risposto che l’elemento era emerso anche da attività d’indagine nel tempo condotte da altri investigatori. “Abbiamo ricostruito l’albero genealogico – ha detto l’avv. Cacciapalle – e possiamo escludere un qualsiasi legame di parentela tra Felice e Cola Buccellato“.
Gli altri difensori si sono poi anche parecchio soffermati sui contenuti delle intercettazioni. A seguire il dibattimento in video conferenza il presunto capo della mafia castellammarese Francesco Domingo, difeso dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Giuseppina Cataldo. Assente per questioni di salute il primo, è stata l’avv. Cataldo a contro interrogare a lungo l’ufficiale dell’Arma che però non si è discostato dalle risposte che a proposito di Domingo aveva dotta nelle precedenti udienze al pm Francesca Dessì della Procura distrettuale antimafia di Palermo.
Sebbene poi sia durata poco, interessante è stata altresì la testimonianza del maggiore Luigi Carluccio, comandante della compagnia della Guardia di Finanza di Sciacca. L’investigatore delle Fiamme Gialle si è occupato di una indagine sulla mafia di Sciacca, quella poi sfociata nel blitz “Passpartout” che riguardò tra gli altri i saccensi Accursio Dimino e Antonello Nicosia, quest’ultimo profittando dell’incarico di consulente parlamentare, riusciva a incontrare in carcere detenuti, facendo da postino ai “pizzini” dei boss. Proprio seguendo Dimino, gli investigatori della Finanza sono arrivati a Castellammare del Golfo: “li abbiamo visti partecipare a veri e propri summit di mafia” ha riferito il maggiore Carluccio. A tenere i collegamenti con i boss di Sciacca era il castellammarese Stefano Turriciano, ad uno di questi summit, forse il più importante c’era anche il “padrino” don Ciccio “Tempesta“.
Le intercettazioni hanno svelato l’attualità dei collegamenti tra i mafiosi di Castellammare del Golfo e quelli newyorkesi, rapporti radicati nel tempo, tanto da far dire al pentito Nino Giuffrè, ex braccio destro del boss Bernardo Provenzano, che da Castellammare partivano per l’America uomini d’onore che a oro volta dovevano istruire i “picciotti” americani. Tra i particolari emersi anche quello di Dimino conosceva molto bene l’articolazione della cosca di Castellammare del Golfo per la comune detenzione avuta con il carrozziere Gino Calabrò, detenuto all’ergastolo, indicato come il “capo” della famiglia castellammarese. Nome pesante quello di Calabrò, nella sua officina passò l’auto poi usata il 2 aprile 1985 per attentare alla vita del pm Carlo Palermo, il tritolo mafioso finì con l’uccidere Barbara Rizzo di 30 anni e i suoi gemellini Salvatore e Giuseppe Asta di sei. Erano in auto e fecero da scudo alla blindata del magistrato. Tra pochi giorni sarà il 37° anniversario di quel terribile attentato.