A pochi giorni delle iniziative programmate a Cinisi nella prima decade di maggio, in occasione del 44° anniversario dll’omicidio di Peppino Impastato, il 28.04 si è svolto, a Cinisi, a “Casa Felicia”, un incontro per illustrare valutare quanto è importante, per il tessuto sociale, assistere alla vittoria dello stato nel colpire i mafiosi nei loro beni e nelle loro ricchezze. All’iniziativa, coordinata dal giornalista Toni Mira, hanno partecipato Luisa Impastato, presidente dell’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia Nazionale e il sindaco di Cinisi Giangiacomo Palazzolo.
Il nome “Casa Felicia” è stato dato all’ex-casolare appartenuto alla sorella di Gaetano Badalamenti e da lei ceduto al fratello. Su questo immobile, com’è noto, è aperto, da tempo un contenzioso tra il Comune di Cinisi, Casa Memoria, alla quale il bene è stato affidato e Leonardo Badalamenti, figlio del boss Gaetano. Il sindaco di Cinisi Palazzolo ha riassunto nel suo intervento i vari passaggi della vicenda. La casa di Cinisi, di proprietà del boss, fu sequestrata il 4.4.1985 dai giudici Falcone, Borsellino, Guarnotta, Di Lello, sino alla definitiva confisca del 4.11.2009, cioè dopo 24 anni. Il ricorso fatto dalla moglie di Badalamenti Teresa Vitale nell’aprile del 2009, fu ritenuto inammissibile da una serie di sentenze, da quella del 10 aprile 2014, all’ultima del 24 maggio 2019. La casa urbana del boss, quella che dista “cento passi” dalla casa di Peppino Impastato, è stata “divisa” tra il Comune, che ha trattenuto il piano superiore, dove è stata ubicata la Biblioteca Comunale, il pian terreno è stato “diviso” a Casa Memoria” e all’Associazione Impastato. Diverso invece il percorso giudiziario degli altri beni, in particolare di un vasto appezzamento di terreno in contrada “Napoli”, sopra la stazione ferroviaria di Cinisi-Terrasini. Il 20 novembre 2007, praticamente allo scadere dei cinque anni dalla morte, previsti dalla legge, la magistratura decideva, con molto ritardo, di mettere sotto confisca i restanti beni di Gaetano Badalamenti, in gran parte terreni agricoli. Nel provvedimento sembrava compreso un rudere, adibito a stalla, “donato” da Fara Maniaci Badalamenti, sorella di Gaetano, al fratello. Non si trattava pertanto di un bene acquistato con denaro di dubbia provenienza, ma di un lascito.
Badalamenti non aveva catastato quel lascito, che così rimase fuori dal provvedimento di confisca fatto nel 2009, fino a quando, accortisi dell’errore, nel 2014 i giudici non decisero di rimediare con un nuovo provvedimento di confisca. Nel maggio 2018 il figlio di Badalamenti, Vito, presentava un’istanza di annullamento non del decreto di confisca di tutti i beni del padre, ma solo della particella in questione censita al foglio di mappa 12, come particella 134 e la Corte accoglieva il suo ricorso, decretandone, anche in appello, la restituzione, perché nel primo decreto d’esproprio del 2009 quella particella non c’era, non era stata citata e nel 2014 ed essendo già passati i cinque anni previsti dalla legge il bene andava consegnato all’erede ricorrente. Dopo la confisca, il Comune di Cinisi, ottenne un finanziamento di 370 mila euro dal GAL di Castellammare del Golfo e diede luogo a una ristrutturazione della stalla, rendendola una casa abitabile, che il 28 gennaio 2021 veniva data in gestione a Casa Memoria Impastato, con l’obiettivo di realizzarne un centro culturale per iniziative antimafia. Quindi, al momento della sentenza, Leonardo Badalamenti si è ritrovato proprietario di un caseggiato con un valore ben diverso da quello iniziale. La sentenza di restituzione, reiterata anche in appello, ha provocato una serie di reazioni e di proteste, in tutto il mondo dell’antimafia ed è stata ritenuta una sconfitta con il rischio di assistere all’utilizzo di un pubblico finanziamento per il restauro di un rudere appartenuto a un noto mafioso ed ereditato dal figlio. Lo Stato che finanzia la mafia, ha detto qualcun, cosa che ha irritato Leonardo Badalamenti, il quale sostiene di essere incensurato. Si presume che per lui basta essere incensurato per non essere mafioso. Dopo la prima sentenza Leonardo B., senza aspettare i tempi e le modalità di riconsegna, si è recato con un fabbro presso l’immobile, facendo rompere il catenaccio, per prendere possesso, ma è intervenuto il sindaco di Cinisi e si è scoperto che nei suoi confronti era stato spiccato un mandato internazionale di cattura a San Paulo (Barra Funda) in Brasile per associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti e falsità ideologica. Condotto in carcere, dopo oltre un anno Leonardo B. è stato liberato, poiché la magistratura italiana ha respinto la richiesta di estradizione avanzata dal Brasile, dove si presentava come un uomo d’affari di nome Carlos Massetti. In un’intervista L. Badalamenti ha sostenuto di vivere in Sicilia dal 2017 e dio essere stato sottoposto, per due anni, a misura di prevenzione sotto il quotidiano controllo delle forze dell’ordine. Ha dichiarato di non essere disposto a lasciare il bene al Comune o a Casa Memoria, come pegno di legalità, sia perché i giudici gli hanno restituito ciò che gli spetta, sia perché il Comune non si è comportato correttamente, occupando il casolare prima della sua confisca, ristrutturandolo senza esserne proprietario e dandolo in gestione a Casa Memoria sei mesi dopo la sentenza di restituzione.
Gli è stato contestato di non avere mai preso le distanze con suo padre, ma egli si è difeso sostenendo di avere rispetto per le sentenze della magistratura, che lo ha sempre assolto, diversamente da quanto fa il mondo dell’antimafia, che gli si è scagliato contro, come se ne fosse colpevole di avere agito in difesa dei suoi diritti e di averli riconosciuti. Sul padre non ha espresso giudizi ma ha riconosciuto di non potere essere imparziale, ritenendo inaccettabile la richiesta di rinnegarlo. “Ognuno deve essere giudicato per ciò che è e che fa, i figli non possono pagare per le colpe dei padri, è una visione arcaica. Inoltre ritengo che mio padre, se ha sbagliato, ha pagato abbondantemente, visto che ha trascorso 20 anni in carcere, dove è pure morto”. Nell’esporre alcuni dei passaggi di questa vicenda il sindaco Palazzolo ha aggiunto che il Comune sta provando, utilizzando l’art. 24 del codice antimafia, ad acquistare l’immobile al prezzo che aveva inizialmente. In caso diverso, ove la consegna fosse inevitabile, sarà attivata una procedura di recupero delle spese fatte per la ristrutturazione. In ogni caso, ha annunziato che su quel caseggiato grava un’ipoteca di due milioni di euro e che difficilmente i due figli di Gaetano Badalamenti potrebbero spendere questa cifra per riscattarlo. Luisa Impastato ha messo in evidenza una serie di iniziative che sono state condotte dalla sua associazione sui beni di Badalamenti affidati e la necessità di un percorso di riscatto e di sensibilizzazione che la consegna della casa al figlio del boss rischierebbe di compromettere. Nicola Morra ha evidenziato, da parte sua una serie di vincoli burocratici, di ostacoli legali e di mancato impegno dello stato nella destinazione dei beni confiscati e nell’agevolazione del percorso di riscatto portato avanti da alcuni ex-mafiosi. Don Ciotti ha chiuso gli interventi parlando del lungo e fruttuoso cammino dei 40 anni della legge Rognoni-La Torre, che ha consentito a un migliaio di realtà sociali dimettere a profitto i beni confiscati ai mafiosi. Ha avanzato anche la proposta di utilizzare i fondi del FUG, che comprende soprattutto i proventi in denaro confiscati ai mafiosi, per ristrutturare i beni, e di agevolare il lavoro dell’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa, per la consegna e l’affidamento dei beni alle associazioni, onde promuovere forme di occupazione o un utilizzo a scopi sociali, nel pieno della legalità. In ogni caso ha assicurato il sostegno, anche legale, di Libera e della sua struttura affinché la casa non torni nelle mani del figlio del boss.
Fonte antimafiaduemila