Mafia. Castellammare del Golfo, operazione Cutrara: la Procura antimafia fa tornare sotto processo il sindaco Nicola Rizzo
Oggi è la Festa della Repubblica e c’è da immaginare che in qualcuna delle cerimonie organizzate per questo 2 Giugno, il sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, indosserà la sua bella fascia tricolore. Difficile, ma speriamo non impossibile, pensare che Rizzo eviti di farlo, considerato che a giorni tornerà sotto processo con l’accusa di favoreggiamento reale con l’aggravante di avere favorito l’associazione mafiosa. La Procura antimafia di Palermo ha infatti evitato che divenisse definitiva la sentenza di assoluzione, pronunciata dal gup del Tribunale di Palermo lo scorso settembre, a conclusione del processo col rito abbreviato. Sentenza appellata dai pm della Dda, Gianluca De Leo e Francesca Dessì. La storia è nota. Un altro sindaco che non ha rispettato la “distanza di sicurezza” dai mafiosi. Rizzo è stato visto dai carabinieri incontrarsi a casa del suocero con il capo mafia di Castellammare del Golfo Francesco Domingo. I carabinieri hanno visto Rizzo con lo scooter arrivare nell’abitazione del suocero, lasciare il telefonino dentro il bauletto della sua due ruote, e nell’ordine hanno visto uscire dopo qualche tempo, prima Domingo e poi sull’uscio si è nuovamente affacciato Rizzo, per andare anche lui via. Rizzo sentito dai pm nell’immediatezza dell’esecuzione del blitz antimafia “Cutrara”, ha raccontato di essersi infastidito a trovare ad attenderlo Domingo. Non sapeva nulla, ma i pm non gli hanno mai creduto. Le intercettazioni hanno svelato che quell’incontro è servito a Domingo per chiedere al sindaco di trovare un immobile dove sistemare una casa di riposo, “Comunità alloggio Madre Teresa”, ufficialmente gestita dai fratelli Nicola e Lilla Di Bartolo. E in effetti qualcosa Rizzo ha cercato di fare, così come si dicevano i fratelli Di Bartolo, tornati a bussare alla porta del primo cittadino sapendo che lui era stato avvicinato dal Domingo. Il gup ha assolto Rizzo sostanzialmente per aver parlato a sua insaputa con un mafioso. Non aveva prova del fatto che Domingo fosse il vero titolare della casa di riposo e che lo stesso, soprannominato “don Ciccio Tempesta”, stesse agendo da mafioso. Su questi aspetti è in corso a Trapani il processo dove Domingo è imputato di associazione mafiosa (reato per il quale in passato è stato già condannato) e con i fratelli Di Bartolo della intestazione fittizia di beni. I magistrati della Procura antimafia hanno preso le distanze dalle conclusione del gup, sostenendo che esistono gravi indizi, precisi, che mostrano come i fratelli Di Bartolo hanno agevolato Domingo in un trasferimento fraudolento di valori, insomma il padrino castellammarese era il dominus della casa di riposo, e i suoi rapporti, frequenti, con Lilla Di Bartolo, non erano frutto di “un’affettuosa amicizia”, come la stessa donna sentita di recente in Tribunale ha raccontato, probabilmente dietro si celava anche una sua parziale proprietà della casa di accoglienza per anziani. Le intercettazioni hanno permesso agli investigatori dei Carabinieri di acquisire risultati chiari, poi riversati nell’informativa alla Procura di Palermo, e adesso anche trascritte nel processo in corso dai periti nominati dal Tribunale. Domingo è stato sentito parlare con i Di Bartolo della gestione della struttura, della divisione dei ricavi, delle problematiche più diverse, come per esempio l’estromissione dalla società di Nicola Di Bartolo, col quale la sorella Lilla non aveva buoni rapporti, o ancora per “rimproverare” i condomini della palazzina dove la comunità aveva sede, che non sopportavano più quella convivenza: Domingo in questo caso, evidenziano i pm, si è mosso per intimorire i condomini, con quel fare che chiaramente solo un mafioso sa fare. A Domingo poi venivano liquidati compensi, in Tribunale Lilla Di Bartolo ha spiegato che era solita concedere una sorta di provvigione a chi gli portava nuovi clienti da ricoverare, e Domingo rientrava tra questi. Tesi non ritenuta credibile però dai magistrati. Rizzo ha sostenuto che non è stato mai conoscenza dell’interesse diretto di Domingo nella “Comunità alloggio Madre Teresa”, circostanza riconosciuta come fondata dal gup che lo ha assolto, ma i pm hanno evidenziato che il reato si è compiuto già con la sola volontà di aiutare, il sindaco si sarebbe interessato a trovare una soluzione rispetto alla richiesta ricevuta. I magistrati De Leo e Dessì hanno anche colto una contraddizione nelle motivazioni scritte dal giudice per arrivare all’assoluzione. Da una parte si esclude una azione condotta con la forza intimidatrice della mafia, dall’altra parte si riconosce l’esistenza della cosca di Cosa nostra a Castellammare, con tutta una serie di dinamiche, che hanno portato lo stesso giudice a pronunciare condanne nello stesso procedimento, che d’improvviso però per il gup si interrompono attorno alla vicenda che riguarda i rapporti tra Rizzo e Domingo. La realtà vissuta a Castellammare del Golfo trova riscontro nella realtà giudiziaria: difficile il fatto che solo pochi conoscessero il ruolo criminale e mafioso di don Ciccio Domingo, a Castellammare del Golfo in tanti sapevano, sindaco compreso. “Rizzo – scrivono i pm antimafia – quando incontra così “riservatamente” Domingo (18 giugno 2019 ndr) aveva ben chiaro che gli si stava palesando innanzi la manifestazione tipica dell’esercizio del potere mafioso”. Rizzo avrebbe dovuto denunciare l’accaduto, ma non l’ha fatto. E quell’incontro “lontano da occhi indiscreti” per i pm De Leo e Dessì non era altro che la prova di un interesse diretto di Domingo in quella casa di riposo per la quale è andato a chiedere a Rizzo anche, pare, l’assegnazione di un bene confiscato, per lasciare quel condominio e avere una nuova struttura libera da altre convivenze. Ma c’è un altro particolare evidenziato nel ricorso contro l’assoluzione.Il sindaco Rizzo sapeva delle problematiche della “Comunità alloggio Madre Teresa”, ma è rimasto disinteressato fino a quando non è stato Domingo a sollecitarlo.