Fare memoria è un dovere etico nei confronti della nostra storia e del nostro passato, impegno indispensabile per una giustizia sociale e un futuro migliore.
Oggi, a distanza di settantatre anni, ricordiamo l’omicidio dell’alcamese Leonardo Renda, avvenuto l’8 Luglio del 1949 nelle campagne tra Alcamo e Grisì per mano dei banditi guidati da Salvatore Giuliano. Uomini con cui ha sempre avuto dei nervi tesi per via delle loro sopraffazioni e rivendicazioni mafiose.
Renda, inoltre, è stato una figura onesta riconosciuta da tutti e da sempre vicino al mondo dell’Azione Cattolica, della resistenza al fascismo e impegnato nell’ aiuto ai più deboli.
Di seguito vi riportiamo, tramite un articolo pubblicato nel quotidiano “La Sicilia del popolo” il 7 Luglio 1949, giorno del suo trigesimo, le parole di un testimone d’eccezione dell’epoca l’On. Ludovico Corrao.
E’ già trascorso un mese dalla tragica scomparsa di Leonardo Renda e il ricordo si vivifica nella luce delle sue virtù. Se Federici è il martire delle idealità, Renda è il simbolo di quella schiera così vasta e così nascosta, che rappresenta il fermento e la riserva più preziosa della Democrazia Cristiana. Umile gente alla quale l’aratro suggerisce, genialmente, l’idea di un solco più profondo da scavare nelle coscienze degli uomini e del seme della parola che viene da Dio. Umile ma fattiva, operosa ed instancabile gente che trascina le masse senza discorsi ma con la purezza dello sguardo e lo slancio impetuoso di un cuore generoso; gente che sedendo al desco dei fratelli poveri disprezza il proprio pane, alle lacrime degli afflitti unisce caldamente le proprie, ai sorrisi della giovinezza offre l’ardore della fede. Di questa schiera così numerosa nella D.C. , Nardo Renda è divenuto il simbolo più luminoso, cui una mano assassina ha dato l’aureola e la luce del martirio.
Perciò dinanzi a lui s’inchinano riverenti le bandiere del partito. Ma il suo sacrificio non sarà invano: c’è un’eredità preziosa che egli ha lasciato, ed è quel frumento raccolto sull’aia per i poveri. E’ un testamento che tutti c’impegna a continuare nella lotta intrapresa per la redenzione sociale delle classi più misere, soprattutto per quella responsabilità di azione individuale diretta derivanteci dal cristianesimo e che sarà la misura del nostro amore verso Dio.
“Per la mia fede sarei lieto di dare il mio sangue” dichiarava Renda una settimana prima della tragica morte. Che varrà quindi per noi conoscere i moventi dell’assassinio e i mandanti? L’offerta consapevole e generosa non vale forse il martirio? E non sarà stato quel martirio la divina accettazione dell’umana offerta?
Battaglia dura e oscura ma con la certezza della vittoria dei nostri ideali. Per questa battaglia impegneremo le nostre energie alimentate dalla nostra fede, facendo tesoro del patrimonio spirituale lasciatoci da Leonardo Renda.
LUDOVICO CORRAO