Mafia, processo Cutrara: il pm chiede cinque condanne per quasi 50 anni di carcere. Al centro delle accuse il padrino di Castellammare del Golfo, Ciccio Domingo detto Tempesta
La condanna a 26 anni di carcere è stata chiesta ieri dal pm Francesca Dessi, della Dda di Palermo, nei confronti di Francesco Domingo, già conclamato capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo. Un boss capace di stare a contatto diretto con politici e pubblici amministratori del centro castellammarese. Il processo, che si svolge dinanzi al collegio presieduto dal giudice Enzo Agate, scaturisce dall’indagine denominata “Cutrara”, condotta dai Carabinieri del Reparto Operativo appartenente al comando provinciale di Trapani. Nella sua requisitoria il pm Dessì ha ricostruito il contesto criminale venuto fuori tra il 2015 e il 2019. Domingo, soprannominato “Ciccio Tempesta”, una volta conclusa la sua lunga detenzione, cominciata all’inizio del 2000, si mise subito alla guida della famiglia mafiosa castellammarese. Quando fu arrestato la prima volta era un semplice appartenente alla cosca, ma già durante la carcerazione ne era diventato indiscusso capo, mantenendo così il ruolo spalleggiato da alcuni soggetti. Un comando “alla luce del sole”, cioè, secondo quanto ricostruito dal pm Dessì, “a Castellammare del Golfo vi era una perfetta conoscenza del ruolo di don Ciccio Domingo”. “A Domingo – ha affermato il magistrato – è da ricondurre un controllo pregnante del territorio, controllo non solo sulle attiviutà tipiche della criminalità organizzata, ma anche su espressione della vita sociale”. Il pm Dessì ha puntato l’indice contro esponenti della politica. Uno di questi l’attuale sindaco, Nicola Rizzo, sotto processo in appello a Palermo, per il reato di favoreggiamento reale. Rizzo fu indagato nell’ambito del procedimento Cutrara, venne assolto in primo grado, ma la Procura generale ha fatto appello ed ha chiesto la condanna a due anni, la sentenza è attesa tra poco. L’atto di accusa contro Rizzo, ripercorso oggi dal pm Dessì, quello di essersi incontrato di nascosto con Domingo per affrontare le esigenze di una casa di accoglienza per anziani, della quale il boss sarebbe stato dietro le quinte il vero proprietario. “Sino a quando – ha ricordato il pm – a sollecitare il sindaco sulle necessità di quella struttura era quella che risultava essere la titolare, Lilla Di Bartolo, Rizzo nemmeno rispondeva alle chiamate, quando sulla scena comparve Domingo, le cose cambiarono”. Un altro politico chiamato in causa è stato l’ex vice presidente del Consiglio comunale di Castellammare del Golfo, Francesco Foderà, che ha patteggiato una condanna per favoreggiamento aggravato: “Subì un furto e si rivolse a Domingo”. Episodi che per il magistrato sono prova”della grande influenza che Domingo fu capace di esercitare fin dentro le pubbliche istituzioni”. Un altro ruolo attribuito a don Ciccio “Tempesta” Domingo, quello di essere soggetto di riferimento per i collegamenti tra Cosa nostra siciliana con la famiglia mafiosa dei Bonanno, operante negli Stati Uniti. Nel ripercorrere poi la caratura criminale del Domingo, il pm si è soffermato sui rapporti con il capo della famiglia mafiosa di Trapani, Francesco Virga, condannato anche per questo procedimento, fu tra gli imputati che scelsero il rito abbreviato. Il resto delle richieste di condanna. Dieci anni sono stati chiesti per Nicola Di Bartolo, quattro anni per Lilla Di Bartolo e Antonino Rosario Di Stefano, tre anni per Salvatore Labita. Nel corso dell’udienza di oggi hanno concluso anche gli avvocati delle parti civili costituite, tra queste il Comune di Castellammare del Golfo, le associazioni antiracket di Trapani e Alcamo, le associazioni Castellolibero e Caponnetto. Dalla prossima udienza del 28 novembre cominceranno a discutere gli avvocati difensori degli imputati.